C’è una storia di 28 anni fa che torna di attualità in questi giorni e che bisogna raccontare perché lascia alcune domande senza risposta.
“Rosaria Capacchione dava fastidio, nel 1989 Giacomo Diana voleva farla uccidere, io mi opposi perché sarebbe finito l’affare dei rifiuti”. Il particolare inedito lo svela Nunzio Perrella, ex camorrista, che ho raggiunto telefonicamente dopo che durante la presentazione del suo libro Oltre Gomorra, edizioni CentoAutori, scritto dal giornalista Paolo Coltro, aveva fatto un riferimento alla giornalista Capacchione, oggi senatrice del Pd, ma senza precisare l’autore del progetto omicida.

Una storia di 28 anni fa che torna di attualità perché chiarisce due aspetti importanti. Il primo è che in mezzo a indifferenti e collusi, tanti certo, c’era anche chi svolgeva il proprio lavoro, chi denunciava, chi scriveva. Il secondo è che quelle minacce, Nunzio Perrella, pentitosi nel 1992, le avrebbe riferite agli inquirenti che lo ascoltarono ad inizio anni Novanta. “Di questa vicenda ho raccontato tutto nei mie lunghi colloqui con gli investigatori” conclude Perrella. Stranamente, però, di tutto questo Rosaria Capacchione non ha mai saputo niente, visto che alla giornalista viene assegnata la scorta solo nel 2008 quando anche altri collaboratori aveva raccontato che era nemica giurata del clan dei Casalesi.
Quanto pesa la sottovalutazione e quanto vale la vita di un giornalista, ci sarebbe da chiedersi. E questi errori del passato non aiutano a evitarli oggi. “Non ero a conoscenza di queste minacce – racconta Rosaria Capacchione, raggiunta al telefono – non mi meraviglio visto che mi occupavo in quegli anni dello smaltimento del percolato, dei rifiuti tossici, della discarica di Bortolotto”. Rosaria scriveva e per questo dava fastidio.
Il sito Bortolotto era di proprietà di Giacomo Diana, detto Paperone, oggi defunto, lo stesso che a Perrella disse che bisognava farla fuori. “Questa discarica – continua Capacchione – diventa una montagna di pattume all’improvviso, era una roba impressionante. Nessuno se ne era mai occupato. C’erano le bufale morte, mancavano le autorizzazioni e poi si violava il divieto di trasporto rifiuti da fuori regione. Iniziai a scriverne sul Mattino”. Erano gli anni delle emergenze rifiuti nel nord del paese, iniziavano i viaggi della spazzatura domestica e tossica. Dopo aver sepolto pattume al nord, il sud diventò la meta preferita da imprenditori, affaristi con il sostegno dei clan che dividevano la torta avvelenando casa propria. Non tutti si girarono, qualcuno scriveva rischiando la pelle.
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