I disabili aumentano, gli insegnanti di sostegno pure. Ma nella vita delle famiglie che hanno un ragazzo diversamente abile in casa non cambia nulla: sono costrette a ricorrere ai tribunali regionali amministrativi per ottenere un aumento di ore, non sempre (soprattutto al Sud) riescono ad avere un assistente ad personam, si rassegnano a vedere ogni anno un docente nuovo rispetto all’anno precedente. La fotografia, tracciata nell’annuale rapporto dell’Istat sull’integrazione nelle scuole primarie e secondarie di primo grado nell’anno scolastico 2015-2016 è una cartolina che indica un elemento chiaro: non cambia nulla.

I ragazzi disabili alla primaria sono 88.281 (l’anno scorso erano 86.985) e alla secondaria 67.690, il 4% del totale (827 in più); gli insegnanti sono 82mila, 2538 in più in grado d’assicurare il rapporto uno a due alunni. Restano stabili i numeri relativi alle famiglie che fanno un ricorso (8% alla primaria; 5% alle medie dove si registra solo un punto di percentuale in meno rispetto allo scorso anno). Identico anche il numero di ore medio degli assistenti educativi culturali: dieci. Ma il problema non sta nelle percentuali: “Bisogna capire se il miglioramento è qualitativo. Quest’anno si sono registrati gravi problemi sul fronte dell’assistenza educativa, del trasporto: su questo c’è un’enorme sofferenza sul piano delle risorse. Dire che sono aumentati gli insegnanti di sostegno – spiega Giovanni Merlo, direttore di Ledha (Lega per i diritti delle persone con disabilità) Lombardia – non significa che la scuola sia migliorata. Bisogna vedere le necessità di ciascun bambino. Non abbiamo grosse segnalazioni rispetto al numero delle cattedre ma sulla presa in carico degli insegnanti di sostegno parecchie: quest’anno sono arrivati tardi, sono cambiati periodicamente, è mancata la continuità didattica”.

Un’analisi confermata anche dall’Istat: il 16% degli alunni disabili alla primaria ha cambiato insegnante durante l’anno scolastico e il 19% alla secondaria. Il 42% ha visto un volto nuovo rispetto all’anno precedente. Manca inoltre secondo Merlo un dato significativo che non è registrato da quest’indagine: quello della disabilità nella scuola dell’infanzia dove spesso non ci sono bambini in difficoltà perché non vengono diagnosticati per tempo: “L’individuazione tempestiva del bisogno fa parte dello status fondamentale dell’intervento riabilitativo. La scuola è il primo ambito dove un occhio terzo riesce ad individuare delle disabilità non emerse prima. La scuola dell’infanzia tuttavia non è considerata dell’obbligo e forse è per questo che mancano i dati. Ma resta la scuola di tutti”.

Uno dei nervi scoperti rilevati dall’Istat è quello dell’uso della tecnologia: circa un quarto delle scuole primarie e secondarie di primo grado non ha postazioni informatiche destinate a questi ragazzi con percentuali molto elevate nel Mezzogiorno dove si arriva al 31,5% alle elementari e al 26,4% alle medie. “La tecnologia – spiega Merlo – è lontana anche dalla vita quotidiana dei ragazzi e delle loro famiglie. E’ un problema culturale. Anche in questo caso la scuola potrebbe avere una funzione. Negli ultimi anni sono stati fatti passi in avanti ma questo tema non è al centro dei pensieri del Miur. La tecnologia dovrebbe essere una specie di cavallo di Troia che serve a tutta la classe non solo a quel bambino. Serve una riflessione sull’ausilio tecnologico che ancora non è stata fatta”. Per il resto qualcosa si salva e, secondo il direttore della Ledha “in Francia o Germania se li sognano i nostri dati”: per esempio in Italia gli alunni con disabilità passano la maggior parte del loro tempo all’interno della classe e si riscontra una buona partecipazione alle uscite didattiche brevi senza pernottamento.

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