di Stefano Caserini*

Parallelamente ai negoziati ufficiali, alle Conferenze delle Parti si tengono quotidianamente numerosi side event di approfondimento tecnico-scientifico. Nel corso del side event organizzato dallo Stockholm Environment Institute, intitolato Fossil fuel supply and climate policy: key steps to enhance ambition, si è approfondito uno degli interventi da mettere in pratica per limitare il riscaldamento globale su cui ancora poco si è approfondito: come intervenire sul lato dell’offerta dei combustibili fossili.

picture1

Le politiche sul clima (risparmio o efficientamento energetico, energie rinnovabili), cercano di ridurre i consumi e quindi la domanda di carbone, petrolio e gas. Invece molto si può fare agendo sugli investimenti e le infrastrutture che determinano l’estrazione dei combustibili stessi.

Gli interventi, a partire da quello di Michael Lazarus (Sei), hanno mandato un messaggio chiaro e semplice: gli investimenti sui combustibili fossili devono essere allineati agli obiettivi dell’Accordo di Parigi, e le politiche e le misure per contrastare l’estrazione dei fossili devono essere integrate nelle strategie nazionali e nel processo negoziale Unfccc.

Il dato di partenza è ormai piuttosto noto: se si vuole limitare il riscaldamento globale a +2°C, due terzi dei combustibili fossili devono rimanere sottoterra. E ancora di più se si vuole fermarsi a “ben sotto i 2°C” come previsto dall’Accordo di Parigi. Quindi ne consegue che nuovi investimenti nell’estrazione dei fossili, nuove miniere e nuovi pozzi petroliferi sono incompatibili con l’Accordo di Parigi.

Si tratta in altre parole di “gestire il declino” dei combustibili fossili, ha detto Greg Muttit (Oil Change International), citando il testo The sky’s limit why the Paris climate goals require a managed decline of fossil fuel production e in particolare la frase che apre il rapporto “if you’re in a hole, stop digging” (se ti trovi in un buco, smetti di scavare).

Se il mondo dei combustibili fossili non prenderà atto di questa necessità, e in futuro si vorranno perseguire gli stessi obiettivi climatici, si assisterà allo scoppio di una “bolla del carbonio”, perché gli investimenti non saranno remunerativi come si prevede.

Di questo parla l’ultimo interessante rapporto di Carbon Tracker dal titolo Unburnable Carbon – Are the world’s financial markets carrying a carbon bubble?“Dobbiamo decidere di cosa parlare: se vogliamo climate leadership dobbiamo parlare di un managed decline. Altrimenti non abbiamo capito di cosa parliamo”.

Gestire il declino dei fossili significa gestire gli impatti sociali, anche dal punto di vista dei posti di lavoro, che devono essere compensati con posti di lavoro nelle nuove energie. Altrimenti oltre alla perdita di un sacco di soldi da parte delle compagnie fossili ci sarà anche uno shock sociale che potrà mettere a rischio il consenso per gli obiettivi delle politiche sul clima. Dobbiamo trovare una soluzione per i lavoratori di queste industrie fossili, dire come pensiamo di far sopravvivere loro e le loro famiglie in un mondo decarbonizzato.

Come spiegato da Ivetta Gerasimchuk (Global Subsidies Initiative, Iisd), le azioni sul lato dell’offerta sono note e riguardano innanzitutto l’eliminazione dei sussidi che stanno alimentando queste zombie energy e zombie fossil company. Dobbiamo sapere di più di questi sussidi, ci vuole più trasparenza innanzitutto

picture2

Si tratta di colmare il gap fra le infrastrutture dei combustibili fossili che costruiamo (miniere, pozzi per l’estrazione di olio e gas) e le politiche sul clima.

Poi ci sono gli interventi di moratoria su nuove miniere a carbone, qualcosa si è già visto in Cina.

In conclusione c’è stato l’intervento della giovane Katie Thomas, Policy Advisor for Energy and Environment del senatore Bernie Sanders, ha parlato della proposta del Keep It in the Ground Act del Senatore Sanders. La proposta sarà ripresentata, anche se certo questo non è il momento migliore, ha ironizzato. Thomas ha poi parlato di alcuni piccoli segni positivi delle recenti elezioni: in Florida è stato respinto una proposta che avrebbe danneggiato la diffusione dell’energia solare, nella Monterey County è stato vietato il fracking. E soprattutto, ha concluso, “in quattro stati è stata legalizzata la marjuana: vi assicuro che ne avremo bisogno nei prossimi anni”.

* Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei Cambiamenti Climatici presso il Politecnico di Milano. È tra i fondatori dell’Italian Climate Network e del blog www.climalteranti.it. Ha pubblicato diversi libri, di cui l’ultimo è “Il clima è già cambiato. 10 buone notizie sui cambiamenti climatici” (Edizioni Ambiente, 2016).

Articolo Precedente

Cop22, a Marrakech la Conferenza mondiale sul clima. Ma serve davvero a qualcosa?

next
Articolo Successivo

Legambiente, “buone pratiche? Italia statica dalle polveri sottili di Milano ai mezzi pubblici a Roma”

next