Ci sono due principali certezze dopo il voto dei parlamentari conservatori britannici che il 7 luglio hanno scelto Theresa May (a sinistra) e Andrea Leadsom come candidate alla successione del primo ministro David Cameron: innanzitutto, la prima è che il prossimo premier del Regno Unito sarà sicuramente una donna; secondariamente, invece, l’altra certezza è che la sfida sarà anche fra una europeista (May, che nel voto ha preso 199 preferenze) e una euroscettica (Leadsom, 84 voti). Con il paradosso che la favorita, l’attuale ministro dell’Interno May, da contraria alla Brexit potrebbe trovarsi obbligata a contrattare con l’Unione europea l’uscita del paese dal recinto comunitario, dando il via controvoglia alla procedura dell’ormai famoso articolo 50 del Trattato di Lisbona e iniziando quindi a gestire veramente e finalmente, dopo tante discussioni, il divorzio fra Londra e Bruxelles.
Nonostante questo scontro in vista, le prime parole di May dopo il voto dei deputati sono state conciliatorie. “Voglio un partito unito”, ha detto la titolare dell’Home Office, una donna ritenuta forte e determinata e, secondo il Financial Times, paragonabile alla cancelliera tedesca Angela Merkel e potenzialmente in grado di raccogliere lo scettro della vera e unica ‘Lady di ferro’ di sempre, Margaret Thatcher, che governò il paese fra il 1979 e il 1990 e che venne a mancare poco più di tre anni fa. May, da ministro dell’Interno fin dal 2010, dopo essere stata in passato presidente del partito conservatore, ha avuto a che fare con molte rogne: dai riot, i tumulti di Londra e delle altre grandi città britanniche nell’estate del 2011, a diversi arresti per terrorismo, dalla lotta all’Isis e ai foreign fighter tornati in patria alla questione dell’immigrazione, che il governo non è mai riuscito a controllare come invece ha più volte promesso. E, ogni volta che l’ufficio nazionale di statistica di sua maestà certificava flussi di migranti da record (nel 2015 l’immigrazione netta ha superato quota 330mila persone), per May era una pubblica umiliazione.
Dall’altro lato, appunto, Leadsom, sconosciuta ai più e soprattutto quasi ignota ai grandi media internazionali fino a pochi giorni fa. Sottosegretaria all’Energia e al cambiamento climatico, Leadsom ha vinto l’ultimo round dei voti dei parlamentari superando Michael Gove, ministro della Giustizia e uomo forte del fronte del Leave nei mesi precedenti il referendum dello scorso 23 giugno. I biografi la descrivono come molto religiosa, attaccata alla famiglia, molto determinata, tendenzialmente contraria ai matrimoni gay (anche se al voto parlamentare che li introdusse votò allo stesso tempo per il “sì” e per il “no”, rendendo quindi la sua preferenza praticamente inutile), esperta di finanza (anche se negli ultimi giorni è stata accusata di aver imbellettato un po’ troppo il suo curriculum vitae) e, soprattutto, molto euroscettica.
La donna giusta quindi per guidare il paese, secondo molti conservatori, nel processo di uscita dall’Ue. Ed è per questo che negli ultimi giorni ha ricevuto anche l’appoggio di Boris Johnson, potente ex sindaco di Londra che lo scorso 30 giugno aveva deciso di non correre a queste primarie dopo uno sgambetto da parte dello stesso Gove. Che prima aveva detto di appoggiarlo e che poi si era candidato, ritirando automaticamente il suo supporto per il biondo giornalista ed ex primo cittadino di una delle metropoli più importanti del mondo.
Ora, appunto, la sfida sarà tutta al femminile: un primato per lo stesso Regno Unito, che mai aveva visto due donne correre assieme per il ruolo di leader di partito e di primo ministro. Il premier sarà così scelto dal voto postale di circa 150mila iscritti al partito conservatore, una situazione un po’ paradossale per la politica britannica, considerando che a guidare il paese fino al maggio del 2020, quando si terranno le prossime elezioni politiche, sarà da settembre un leader scelto da poco più dello 0,2% della popolazione del paese. Un premier che dovrà appunto decidere di tagliare il cordone ombelicale con Bruxelles, mentre le stesse istituzioni comunitarie già da giorni premono sull’acceleratore, chiedendo a Londra di avviare il prima possibile la procedura di uscita dall’Ue, per evitare l’instabilità dei mercati e delle istituzioni stesse. E la scelta di farlo e di premere definitivamente il grilletto non potrà che essere da Lady di ferro.