Il concetto – non letterale – suona così: “Mandatemi solo gli scritti e stop con gli incontri“. L’autore della mail è Roberto Cerreto, capo di Gabinetto del ministro per i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi. Il via vai di bozze, correzioni, proposte, valutazioni sull’emendamento è incessante. E così, se non siamo dinanzi a una dettatura, poco ci manca. Siamo a dicembre 2014. L’emendamento che serve alla joint venture di compagnie petrolifere interessate al Tempa Rossa – Total, Shell e Mitsui – ha già subìto un inciampo poche settimane prima. Avrebbe potuto vedere la luce nel decreto Sblocca Italia. Ma non è andata come auspicavano le compagnie. E neanche come desiderava Gianluca Gemelli, compagno di Federica Guidi che, secondo l’accusa, stava realizzando, spendendo il ruolo dell’ex ministra, il reato di traffico di influenza illecita per incassare, attraverso la Total, un subappalto da 2,5 milioni di euro.
Negli stessi giorni in cui Cerreto chiede di ridurre gli appuntamenti personali, che si sono fatti sempre più frequenti, c’è un altro capo di Gabinetto impegnato a gestire i rapporti con le compagnie: si chiama Vito Cozzoli. È il braccio destro del ministro Guidi. Fino al caso Tempa Rossa e ai fibrillanti giorni di fine 2014, le compagnie petrolifere, per gestire i propri interessi, erano abituati a confrontarsi con l’uomo più competente per materia, ovvero Franco Terlizzese: è il direttore generale per le risorse minerarie ed energetiche. Ma evidentemente è necessario rapportarsi meglio con la sponda più politica del ministero: il capo di Gabinetto Cozzoli. E così la traiettoria cambia, le compagnie iniziano a discutere, oltre che il braccio destro della Boschi, anche con l’omologo della Guidi.
È vero ciò che dice il premier Matteo Renzi che ieri, intervistato da Lucia Annunziata a In1/2ora, ha confermato quanto anticipato ieri dal Fatto: “Quell’emendamento l’ho voluto io”: fu scritto inizialmente dal suo ufficio legislativo. Ma è anche vero che, nel dicembre 2014, dopo la “bocciatura” nello Sblocca Italia, il politico più ricercato dalle compagnie è un altro: Maria Elena Boschi. Il motivo è semplice: le lobbies petrolifere, proprio per l’inciampo subìto in prima battuta, hanno compreso che è necessario curare un aspetto che, prima di allora, non avevano valorizzato adeguatamente: il rapporto con il Parlamento. È questo il momento in cui Boschi inizia a essere “corteggiata” dalla diplomazia internazionale, incluso l’ambasciatore inglese, come lei stessa ha confermato, che la segue con attenzione, nonostante debba confrontarsi con l’inglese incerto della giovane ministra. Non è un caso che la stessa Guidi, intercettata con il suo compagno, alla vigilia dell’emendamento nella legge di stabilità commenti: “Se è d’accordo Maria Elena…”.
L’“accordo” di Maria Elena è ritenuto fondamentale, proprio per i “rapporti con il Parlamento”, principalmente dalle lobby petrolifere: è lei il cavallo vincente per non ripetere il fiasco di pochi mesi prima, quando l’emendamento “ideato” da Renzi, non è riuscito a transitare nello Sblocca Italia. I timori delle compagnie sono tutti concentrati sul ruolo che svolgerà l’Eni sulla partita esportazione che Total, Shell e Mitsui si stanno giocando per far partire il petrolio da Taranto. La joint venture – raccontano al Fatto fonti qualificate – diffidano così tanto che non coinvolgono nell’azione lobbistica l’Assomineraria che, secondo loro, è ostaggio Eni. Nel frattempo si individuano le scrivanie dove far pervenire modifiche all’emendamento, idee di subemendamenti, correzioni alle correzioni delle correzioni. Tra queste scrivanie, la più importante, è quella del capo di Gabinetto della Boschi, Cerreto che con Cristiano Ceresani, all’ufficio legislativo, deve rendere digeribile il seguente concetto: se le autorità locali – ovvero Regione Puglia e Comune di Taranto – non sono d’accordo con il progetto di costruire una banchina nel porto, che consenta alle compagnie di esportare il petrolio, nei fatti il governo può intervenire per sbloccare la situazione.
Il problema della jont venture infatti è superare l’avversità dei pugliesi al progetto. Le compagnie sono certe che, grazie all’apporto della Boschi, si potrà riuscire dove prima, con l’emendamento “targato” Renzi, non si era riusciti. Il loro interesse è esportare. Punto. Il petrolio del Tempa Rossa non è quindi destinato ai consumi interni. L’Eni non dovrà neanche utilizzare le sue, peraltro datate, raffinerie: il processo avverrà all’estero. L’unico beneficio che resterebbe in Italia sono le royalty – piuttosto esigue – per l’estrazione. E ovviamente i posti di lavoro. La pressione delle compagnie è elementare: se strozzi il progetto dell’esportazione, diminuisco la produzione, l’Italia perde royalty e posti di lavoro. In cambio Renzi, Boschi e Guidi, decidono di offrire alla joint venture una città come Taranto. Negandole la possibilità di decidere.
da Il Fatto Quotidiano del 4 aprile 2016