Nuove regole per arginare corruzione e collusione, coinvolgimento dei cittadini sulle grandi opere, soglie comunitarie per gli appalti, addio alla preferenza per l’offerta al massimo ribasso e, soprattutto, più poteri all’Autorità nazionale anticorruzione (Anac). Per il governo il nuovo codice appalti, che recepirà tre direttive europee (23, 24 e 25/2015) entro il 18 aprile, è una vera e propria rivoluzione. Lo schema di decreto legislativo in 217 articoli dovrà regolamentare una disciplina complessa, che spazia dalle grandi opere pubbliche a servizi come mense ospedaliere e scolastiche, manutenzione del verde, servizi postali, trasporti, energia e acqua. Ma il timore degli operatori è che l’Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone si ritrovi paralizzata da un’ulteriore ed enorme mole di lavoro rallentando, nei fatti, la macchina degli appalti. Peraltro l’authority avrà armi spuntate, perché potrà dare multe non superiori a 50mila euro. Non solo: tra gli operatori del settore c’è anche preoccupazione per il fatto che le nuove regole non favoriscono la trasparenza a tutto tondo. Infatti riguardano principalmente le gare dai grandi importi, quelle cioè che, secondo i diktat di Bruxelles, partono da 5,2 milioni per lavori e concessioni, 135mila euro per forniture, servizi e progettazioni di autorità governative centrali (209mila per quelle sub-centrali) e 750mila euro per servizi sociali.

Sotto i “tetti” Ue resta l’affidamento diretto – Per gli affidamenti al di sotto di queste soglie resta invece il rischio concreto di favorire un sottobosco di relazioni e potentati locali, sia pure all’interno di un sistema più snello dei centri di gestione appalti, le cosiddette stazioni appaltanti, che scenderanno da circa 60mila ad appena 250. Il motivo? Al di sotto il tetto comunitario sarà possibile utilizzare procedure negoziate che, secondo il codice, consentono l’affidamento diretto dei lavori previa consultazione di almeno cinque operatori economici. Inoltre, secondo Cgil, Cisl e Uil, che stanno preparando un incontro sul tema il 22 marzo a Roma, è preoccupante l’assenza nel testo di un divieto alle deroghe che si sono moltiplicate nei casi degli scandali Expo, Mose e l’Aquila.

Rischio caos nella fase di transizione – Fra le organizzazioni di categoria e gli imprenditori edili desta perplessità anche la fase di transizione in cui scompariranno gli attuali regolamenti attuativi per fare spazio alle linee guida di carattere generale, che dovranno essere approvate con decreto del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, su proposta dell’Anac e previo parere delle competenti commissioni parlamentari. Con il rischio concreto di un caos nel primo periodo di applicazione e con una elevata probabilità di confusione nell’interpretazione autentica delle norme del nuovo codice. Sul fronte occupazionale, infine, sono emersi dubbi per una normativa che cambierà completamente le regole del gioco in tema di appalti: secondo la Filca-Cisl la riduzione dal 40 al 20% della percentuale di lavori che i concessionari autostradali potranno fare attraverso le loro controllate di manutenzione mette a rischio posti di lavoro. L’altro rischio è che l’impatto organizzativo sulla macchina dello Stato, nella gestione del fabbisogno e nella programmazione, sia pesante. Secondo l’attuale testo, infatti, le amministrazioni che affidano appalti saranno tenute a presentare un programma biennale di acquisti beni e servizi (oltre i 40mila euro), oltre che un piano triennale dei lavori pubblici “in coerenza con il bilancio” per importi superiori ai 100mila euro. E dovranno pubblicarli sul sito nella sezione “amministrazione trasparente”.

Dal “massimo ribasso” all’offerta “più vantaggiosa” – Nel testo non mancano comunque gli spunti positivi, come l’introduzione dell’obbligo di coinvolgimento dei cittadini sulle grandi opere infrastrutturali. O anche l’eliminazione delle gare al massimo ribasso per fare spazio al criterio della “offerta più vantaggiosa” in termini di qualità e prezzo, obbligatoria per appalti di “servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica e per quei servizi in cui è fondamentale l’apporto di manodopera (si pensi ad esempio ai servizi di pulizia)” come chiarisce la relazione tecnica. Tuttavia, sulla materia, il documento lascia un certo margine di discrezionalità. Se da un lato, infatti, vengono fissati paletti per le nomine dei componenti delle commissioni di aggiudicazione, rigorosamente tratti da un albo Anac, dall’altro lo schema di decreto non fissa alcun parametro standard per individuare l’offerta migliore. Per non parlare del fatto che, per appalti di somme inferiori alle soglie comunitarie, la pubblica amministrazione potrà nominare soggetti interni per la commissione di aggiudicazione.

Se l’azienda non paga stipendi e contributi subentra l’appaltatore – Quanto alla fase esecutiva dei lavori, il codice introduce anche regole più stringenti per le aziende vincitrici di appalti a tutela delle casse dello Stato e dei lavoratori. All’articolo 30, la normativa si occupa sia dei casi di inadempienza retributiva e contributiva dell’azienda affidataria e stabilisce che l’ente appaltante si faccia carico di pagare gli stipendi “detraendo il relativo importo dalle somme dovute all’affidatario” e di trattenere “dal certificato di pagamento l’importo corrispondente all’inadempienza per il successivo versamento diretto agli enti previdenziali e assicurativi”. A vigilare sul corretto adempimento dei lavori ci sarà un responsabile unico di progetto, nominato dal soggetto appaltatore, con compiti specifici che verranno stabiliti dall’Anac. Se da un lato le aziende saranno più controllate, dall’altro sarà per loro più facile partecipare agli appalti perché nel giro di un anno è prevista “la digitalizzazione delle procedure di tutti i contratti pubblici”.

Troppo lavoro per l’Anac. Ma la multa massima sarà di soli 50mila euro – Ma l’aspetto più rilevante del codice appalti è la stretta su vigilanza e controllo che il governo affida all’autorità guidata da Cantone. L’Anac dovrà infatti fornire alle aziende degli strumenti tipo come “linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo” per garantire efficienza e qualità del lavoro delle stazioni appaltanti. Non solo: l’autorità dovrà anche verificare che sia garantita l’economicità dei contratti pubblici, segnalare al governo e al Parlamento fenomeni gravi di inadempimento, formulare proposte di modifica all’esecutivo, predisporre una relazione annuale, controllare la “qualificazione degli esecutori dei contratti pubblici”, tenere l’albo dei commissari, gestire il sistema di controllo delle stazioni appaltanti, interloquire con le procure e disporre ispezioni avvalendosi della Guardia di Finanza.

Oltre ai poteri di vigilanza, l’Anac avrà poi anche poteri sanzionatori che tuttavia, a giudicare dagli importi pecuniari, appaiono armi spuntate se confrontate al giro di interessi in ballo. Le multe che l’autorità potrà comminare andranno infatti da un minimo di 250 euro a un massimo di 50mila euro. Per non parlare del fatto che i tempi di reazione dell’autorità rischiano di essere troppo lunghi. Un esempio può forse aiutare il complesso lavoro che gli esperti dell’Anac si troveranno ad affrontare. La delibera Anac 207 del 2 marzo 2016, che ha fatto luce su circa 1.800 affidamenti del comune di Roma, ha richiesto più di un anno di lavoro (l’istruttoria è stata avviata il 20 gennaio 2015). Troppo tempo per bloccare i guasti di un appalto in corso d’opera.

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