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Meno sette. Entro lunedì prossimo migliaia di ragazzi dovranno scegliere il proprio futuro: liceo classico o scientifico? Ad indirizzo sportivo o di scienze applicate? Tecnico o professionale? Informatica e telecomunicazioni, dove pare si trovi lavoro, o geometra?

Fino agli anni Novanta uno dei criteri suggeriti da professori ed esperti era quello di scegliere l’indirizzo in base alle proprie passioni. In quest’ultimi anni i ragazzi stessi hanno cominciato a individuare la loro futura scuola ponendosi una domanda: che farò dopo? Che mestiere potrò fare?

Ora, forse, è il caso di porsi un altro criterio: va scelta una scuola che permetta dopo cinque anni di fuggire da questo Paese.
Non serve a nulla ottenere un diploma o una laurea in un’Italia dove la maggior parte dei laureati non trova lavoro: sono appena il 45% quelli che, concluso un ciclo d’istruzione, riescono a trovare un’occupazione. La media europea resta molto più alta rispetto al nostro dato (76%). Peggio di noi è solo la Grecia.

In questo Paese, al Parlamento, non ci sono i nostri giovani laureati ma gente come il senatore Antonio Razzi che la scorsa settimana in occasione della discussione sul disegno di Legge Cirinnà, ha rappresentato il nostro Paese così: “Noi ci sentiamo competenti al punto tale di assicurare ai bambini adottati da due padri senza una mamma oppure da due mamme senza un padre che essi non patiscano turbe di carattere psicofisico tali da menomenarne la personalità?”.

In quest’Italia può capitare di chiamare la Telecom e trovare dall’altra parte del telefono una gentile signorina (magari diplomata e laureata) che prima del termine della chiamata ti prega di darle un voto almeno sufficiente in caso di sondaggio per timore dei tagli aziendali.

Questa è l’Italia del professor Stefano Rho, licenziato per non aver dichiarato di essere stato condannato per una pisciata. E’ il Paese dove i cervelli migliori fuggono: nel 2013 circa 46 mila studenti risultavano iscritti in un Paese dell’Ocse e altri 3.000 in un Paese non membro dell’Ocse. Regno Unito, Austria e Francia sono le destinazioni preferite. Allo stesso tempo, le università italiane attirano pochi studenti stranieri: nel 2013 erano meno di 16 mila. E’ l’Italia che investe otto miliardi nell’università a fronte dei 26 della Germania.

E allora che fare? Il criterio per scegliere una scuola superiore è uno solo: un corso che insegni bene le lingue e l’uso della tecnologia. Sono gli “attrezzi” che serviranno per andarsene da questo Paese, per trovare lavoro o proseguire gli studi lontani da un’Italia corrotta dove quelli come Storace, Fassina, D’Alema, Migliore, Vendola, La Russa, Formigoni, Casini & compagnia sembrano non finire mai, sempre “con un posto” grazie al cambio di casacca o a un vitalizio.

Chi sceglie la scuola in questi giorni lo deve fare solo dopo aver letto quanto ha scritto la ricercatrice Roberta D’Alessandro, da 16 anni lontana dall’Italia: “Io non faccio parte della ricerca italiana e non per mia volontà. Dall’Italia sono stata cacciata, ai concorsi non vincevo mai e mi arrivavano per interposta persona i complimenti della commissione. Ma io con i complimenti non mangio”.

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