Sulla questione lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) il Miur è enigmatico. Diciamo pure che si muove con il freno a mano tirato. Esiste infatti una Strategia nazionale contro le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere promossa dall’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) e dal dipartimento delle Pari opportunità (e adottata con decreto ministeriale nel 2013 su raccomandazione del Consiglio d’Europa), dalla quale il ministero dell’Istruzione ha preferito prendere le distanze.

Dopo aver partecipato alla prima fase, quella nazionale, che ha previsto corsi di formazione per i dirigenti del ministero e degli uffici scolastici regionali, si è ritirato. Rottamando la seconda fase, quella territoriale, che riguardava la formazione dei vertici degli uffici scolastici regionali e provinciali di Umbria, Toscana, Basilicata, Calabria, Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria e Sardegna. La giustificazione? Eccola: “Faremo un piano nostro, che coinvolgerà tutto il territorio nazionale, non solo alcune regioni, e sarà rivolto direttamente agli insegnanti” dichiara il Miur a ilfattoquotidiano.it. Aggiungendo che “il piano rientra negli obiettivi del comma 16 della legge 107”, cioè della “Buona scuola”. Ma al momento non c’è nessuna tabella di marcia in agenda.

Il Comune di Torino, che ha il ruolo di coordinatore della strategia (essendo già capofila della Rete nazionale delle pubbliche amministrazioni contro le discriminazioni gender) è senza parole. “La strategia serve per fornire contenuti e strumenti che poi possono essere replicati e diffusi ovunque, a qualsiasi livello” ci spiega l’assessore alle Pari opportunità, Ilda Curti. Il percorso, oltre all’asse istruzione, interessa quello del lavoro, sicurezza e carceri, e media. Ai ministeri di competenza è stato affidato un pacchetto diverso di regioni.

“Ma ogni volta la selezione non esclude le altre – ripete l’assessore -, è solo una questione di organizzazione del lavoro, perché a partire dai dirigenti del ministero, a cascata, possono venire formati amministratori locali e docenti di tutta Italia”. Il budget stanziato è di 500mila euro. “Ad aprile, dopo mesi di reticenza da parte del Miur, abbiamo detto ok, fate come volete voi allora, e assieme abbiamo deciso di stralciare i soldi destinati all’istruzione, cioè 70mila euro” racconta Curti. Insomma, una volta tanto che c’erano le risorse per fare qualcosa di buono, il governo non le usa.

C’è un altro dettaglio non di poco conto. Tra i relatori dei corsi nazionali, che si sono tenuti il 26 e 27 novembre a Roma, il Miur ha tagliato fuori le associazioni in difesa dei diritti lgbt. “Abbiamo scelto una formazione tra pari con il racconto delle migliori esperienze fra scuole. Non è stata esclusione, ma un metodo di formazione” replicano da viale Trastevere. L’Unar prende atto: “Non abbiamo capito bene il motivo, ma non possiamo farci niente”. Che dietro la mossa del Miur ci sia la pressione delle associazioni cattoliche pro famiglia tradizionale è un’ipotesi che non si dice ufficialmente ma che, tra gli addetti ai lavori, sono in tanti a pensare.

Un altro segnale della ritrosia del Miur sulla questione di genere è il fatto che il portale nazionale lgbt annunciato a Palazzo Chigi il 4 giugno è tuttora offline. “Ci hanno detto che l’apertura sarebbe slittata a metà giugno, poi a metà agosto e oggi non è ancora attivo. È costato 110mila euro e ci ha impegnato ore e ore di lavoro, sarebbe un peccato se il sito non partisse” commentano dal Comune di Torino.

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