L’Ilva avrà tempo fino al 30 novembre per rendere sicuro l’Altoforno2 altrimenti l’impianto tornerà sotto sequestro o, peggio, potrebbe addirittura essere confiscato. Con queste condizioni la procura di Taranto ha firmato il dissequestro temporaneo dell’impianto nel quale l’8 giugno scorso morì l’operaio Alessandro Morricella. Nel provvedimento sottoscritto dal procuratore aggiunto Pietro Argentino e dal sostituto Antonella De Luca, i magistrati hanno ribadito che a distanza di tre mesi dall’incidente mortale gli interventi realizzati dall’azienda “non risultano comunque sufficienti a garantire adeguata sicurezza sull’impianto”, ma il decreto varato dal governo consente all’azienda di utilizzare comunque l’Altoforno2 ed è quindi “improrogabile la necessità di garantire la realizzazione di interventi da parte dell’azienda volti ad innalzare gli standard di sicurezza sull’impianto e ridurre il persistente e concreto rischio di verificazione di incidenti/infortuni sul lavoro” che è ancora “presente come più volte evidenziato nel corso delle indagini da parte degli organi tecnici interessati”.

Le condizioni imposte dalla magistratura sono di due tipi. I primi da realizzare entro il prossimo 31 ottobre sono di natura gestionale tra cui la “Analisi di Rischio” per individuare le cause dell’incidente mortale e di “ogni altro possibile top event nonché gli interventi mirati a rendere affidabile l’ esercizio dell’impianto scongiurando eventi incontrollati e danni irreversibili per il personale di stabilimento e la popolazione” e l’aggiornamento di una serie di “pratiche operative connesse alla gestione ordinaria e di emergenza dell’altoforno”.

Inoltre entro la fine di novembre la fabbrica guidata dai commissari Pietro Gnudi, Corrado Carrubba ed Enrico Laghi dovrà provvedere alla realizzazione completa di 13 interventi tra i quali l’automazione del prelievo della temperatura della ghisa e delle operazioni attualmente eseguite al campo di colata, il procedimento che è costato la vita al 33enne tarantino. Non solo. L’Ilva è obbligata a realizzare un sistema di memorizzazione delle immagini catturate dalle telecamere e l’installazione di sensori di rilevamento del livello di ghisa.

Prescrizioni che, quindi, dovrebbero servire almeno a ridurre drasticamente i rischi per gli operai che ancora oggi si trovano a lavorare su un impianto che non è sicuro e, per giunta, che a 19 di loro è costata una denuncia dopo l’intervento dei carabinieri. La palla, quindi, passa all’azienda che attraverso l’istanza presentata dai legali Angelo Loreto e Filippo Dinacci, ha ottenuto la rimozione dei sigilli accettando tutte le condizioni poste dai consulenti della procura tra i quali l’ingegnere Barbara Valenzano.

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