Nella lunga tappa di montagna, con il traguardo finale posto alle elezioni generali, il corridore spagnolo con il fiato corto sembra essere Pablo Iglesias. Prendiamo in prestito una metafora ciclistica per raccontare lo stato di forma di Podemos, l’alternativa anti-austerity, nella corsa per la presidenza della Moncloa contro il PP del premier Mariano Rajoy, il PSOE del leader Pedro Sanchez e l’alternativa di centrodestra Ciudadanos capitanata da Albert Rivera.

In costante ascesa di consensi dalla nascita, Podemos vive il primo delicato passaggio politico della sua storia. La crisi greca e le iniziali battaglie di Tsipras avevano aiutato Iglesias e compagni a esprimere un nuovo concetto di Europa, votata alla solidarietà e al ripensamento del modello economico e non solo un palazzo di tecnocrati pronti ad imporre politiche di lacrime e sangue ai cittadini.

La vittoria del referendum di Atene di qualche settimana fa aveva illuso i sostenitori di sinistra che Tsipras potesse avere la forza politica, non solo quella del mandato popolare dei suoi elettori, per combattere a muso duro Angela Merkel e Wolfgang Schäuble. Lo stesso Iglesias era certo che il premier greco potesse essere il primo esempio di come poter urlare un “no” forte a nuove imposizioni dall’alto. A Strasburgo, durante il dibattito al Parlamento, lo accolse a braccia aperte e la sua immagine del profilo di Twitter è una foto dei due leader abbracciati e sorridenti. La lunga notte di negoziazioni e la firma del terzo pacchetto di aiuti hanno detto il contrario. Da uomo forte Tsipras si è trasformato in agnellino, deludendo molti cittadini sotto il Partenone.

Iglesias ha pagato, in termini d’immagine, la vicinanza a Syriza. Nell’ultima rilevazione di Metroscopia, Podemos otterrebbe oggi il 18% dei consensi, dietro al Partito Socialista e al Partito Popolare del premier Rajoy. Non solo: la quarta carta del mazzo, ovvero Ciudadanos, è a soli 5 punti di distanza. Ad inizio anno Podemos poteva contare su 10 punti in più. Sono sondaggi, quindi da prendere con la dovuta cautela, però è la prima volta da molti mesi che il movimento di Iglesias si distanzia dai due partiti tradizionali e scende sotto il 20%.

Mariano Rajoy non aspettava altro per etichettare il professore con il codino come “pericoloso”. Le code ai bancomat di Atene, la chiusura delle banche e della Borsa e il rischio concreto di perdere il patrimonio sono diventate formidabili armi elettorali del premier spagnolo, desideroso come mai di poter paragonare Tsipras ad Iglesias e incutere paura ai cittadini. Paura ingiustificata perché l’economia, seppur gonfiata da dati eccessivamente ottimisti sul recupero dell’occupazione, crescerà del 3% nel 2015 e del 3,5% nel 2016. Rajoy specula sulle difficoltà che si stanno vivendo ad Atene per recuperare consensi dopo un anno di dure sconfitte elettorali, con la perdita del Comune di Madrid come ciliegina sulla torta. Il fiato corto di Podemos non può però essere spiegato solo con le difficoltà di Tsipras. C’è dell’altro e Iglesias lo sa bene.

Le vittorie di Ada Colau e Manuela Carmena nella elezioni municipali di Barcellona e Madrid hanno rappresentato il punto più alto del movimento, soprattutto a livello d’immagine. Va però fatto un distinguo: nella capitale, così come in Catalogna, Podemos ha vinto grazie a un’alleanza con la componente civile e Izquierda Unida ed il successo è stato molto risicato (solo pochi seggi di differenza). Iglesias ha rifiutato apertamente un’alleanza elettorale con l’estrema sinistra anche per la Moncloa, decidendo di correre da solo. Molti elettori non hanno apprezzato pensando che il modello Barcellona-Madrid potesse rappresentare la miglior carta da giocare. Se, ipoteticamente, il risultato delle elezioni nazionali rispecchiasse quello delle comunali di un mese fa, difficilmente Podemos potrebbe insediarsi al governo. Il PP potrebbe allearsi con Ciudadanos e raccogliere più seggi per presentarsi nuovamente davanti al Re per giurare.

Iglesias ha deciso di lottare da solo, come fece Beppe Grillo nelle elezioni politiche italiane. Come il M5S, potrebbe ottenere un exploit straordinario ma pensare di poter raggiungere una maggioranza assoluta sembra oggi fantascienza. E rimaniamo sempre nel campo della fantascienza se pensiamo che domani Iglesias e Sanchez possano sedersi nello stesso governo. Il primo ha etichettato il leader del PSOE come capo di una banda di corrotti, il secondo parla del professore come di un visionario. Immaginarli allo stesso tavolo a discutere di programmi economici comuni per il rilancio dell’occupazione è un’impresa molto ardua. Chi ride sotto la barba è ovviamente Rajoy, conscio del fatto che un’alleanza tra Podemos e PSOE metterebbe la parola fine, anche prima delle urne, a un suo secondo mandato.

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