Il saluto fascista allo stadio non è reato. E sin qui la decisione del Tribunale di Livorno non è una novità, visto che risale al marzo scorso. Ora, però, sono state rese note le motivazioni della sentenza con cui il giudice Antonio Perrone ha prosciolto quattro imputati (tifosi del Verona) dall’accusa di aver ripetutamente fatto il saluto fascista allo stadio labronico. Parole destinate a fare giurisprudenza e polemica: “Nel caso in specie il saluto romano si è collocato all’interno di una manifestazione di carattere sportivo [e tale contesto fa] dubitare fortemente che il gesto sia stato idoneo a pubblicizzare idee violente e discriminatorie, che sia stato finalizzato alla ricerca di consensi in questo senso, che abbia avuto concrete possibilità di raccogliere adesioni”. Per il giudice quindi si tratta di una semplice “provocazione rivolta verso gli avversari” durante una manifestazione sportiva che e “non è normalmente il luogo deputato a fare opera di proselitismo”.

La sentenza di assoluzione emessa lo scorso marzo, e che fece molto discutere, si riferiva all’accusa nei confronti di Giovanni Andreis, 23 anni di Sommacampagna, Andrea Morando, 38 di Pescantina, Sebastiano Zamboni, 25 di Bussolengo, e Federico Ederle, 45 di Grezzana, “di aver compiuto manifestazioni esteriori usuali del disciolto partito fascista nell’eseguire il gesto del saluto romano” durante Livorno–Hellas Verona del 3 dicembre 2011, valida per il campionato di Serie B. Il pm Alessandro Crini per i quattro aveva chiesto una pena di 2 mesi e 20 giorni di reclusione, ai sensi del dl 26 aprile 1993, n. 122, altrimenti noto come Legge Mancino. Ma il giudice non è stato d’accordo. In attesa di un probabile ricorso nei confronti della sentenza della Procura della Repubblica di Livorno, i punti fondamentali della motivazione di proscioglimento sono due.

Innanzitutto, dopo avere analizzato il quadro storico in cui è nata la Legge Mancino (e la Legge 20 giugno 1952, n. 645, ovvero la Legge Scelba cui la Mancino fa riferimento) il giudice Perrone scrive che “ai fini della sussistenza del reato sia imprescindibile che il comportamento censurato determini un pericolo concreto e attuale di riproposizione di quei movimenti in tutte le sue forme”. Sostenendo quindi che il saluto romano non è reato, perché “non è punibile il gesto in sé”, in quanto non porta alla diretta ricostituzione del partito fascista. Anche se la Cassazione, nella sentenza n. 24184 del 17 giugno 2009, aveva chiaramente stabilito che il saluto romano “non è espressione della possibilità di manifestare liberamente il proprio pensiero, ma un’istigazione all’odio razziale, vale a dire che istiga alla violenza”. E quindi è punibile ai sensi della Legge Mancino.

Il secondo punto è il luogo: lo stadio. Perché “la manifestazione sportiva, non è normalmente il luogo deputato a fare opera di proselitismo e propaganda politica” a differenza “di un corteo, di un comizio o di una manifestazione di piazza”, dato che “la manifestazione sportiva ha proprie connotazioni e scopi, anche se non si può escludere a priori che possa essere strumentalizzata ad altri fini”. Anche nella sentenza di condanna per gli undici tifosi giallorossi che dopo Brescia–Roma del 20 novembre 1994 – nello stesso procedimento, assolto per non aver commesso il fatto, c’era anche Daniele De Santis, l’omicida di Ciro Esposito – si resero protagonisti di violenze e accoltellarono un vice questore, ci fu il proscioglimento dall’accusa di “avere commesso manifestazioni usuali del disciolto partito fascista ]inni fascisti e saluti romani ndr.] perché il fatto non costituisce reato”.

Ma l’inchiesta mise in luce un vero e proprio piano di destabilizzazione basato sulla strumentalizzazione delle curve, molte delle quali negli ultimi tempi avevano visto crescere i gruppi di ideologia neofascista. E fu dimostrato che quell’azione serviva al neonazista Maurizio Boccacci e ai suoi accoliti a fare recuperare prestigio al loro gruppo. Una vera e propria opera di proselitismo e propaganda politica. Così come lo sono striscioni, celtiche e svastiche esposte nelle curve italiane dalla Serie A alle divisioni minori. O la stessa svastica che i difensori dell’Hellas hanno disegnato con le macchine durante il loro raduno estivo. Inoltre sul reato di esporre simbologie fasciste allo stadio si era espressa chiaramente la Cassazione due anni fa quando aveva confermato la condanna in appello di un tifoso che aveva esibito la maglia di Mussolini a un incontro di hockey. Queste le parole di quella sentenza: “Il reato sussiste per il solo fatto che taluno acceda ai luoghi di svolgimento di manifestazioni agonistiche recando con sé emblemi o simboli di associazioni o gruppi razzisti e simili, nulla rilevando che a tali gruppi o associazioni egli non sia iscritto”. E’ quindi giusta la condanna, due mesi poi convertiti a pena pecuniaria, poiché: “dato atto che l’essersi presentato esibendo la maglietta con le scritte e i simboli inneggianti al regime fascista e ai valori dell’ideologia fascista nel contesto dello specifico incontro sportivo (…) notoriamente caratterizzato da contrasti delle opposte tifoserie, integra la condotta di uso di simboli propri delle organizzazioni nazionaliste e i comportamenti vietati e sanzionati dalla legge”.

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