Altro che rottamazione! Il ministero dell’Università, infatti, proroga il dominio della gerontocrazia accademica. Il decreto ministeriale con cui il ministro Giannini, in perfetta contraddizione rispetto allo spirito rottamatore innalzato a bandiera dal governo cui appartiene, consente alle università italiane di non assumere. In pratica, esso concede la deroga per ben tre anni all’obbligo già imposto alle università italiane di adeguarsi almeno ai cosiddetti ‘requisiti minimi’, ossia di assumere in pianta organica un numero minimo (stabilito ex lege) di docenti assunti. L’intento originario di detta previsione era quello di interrompere la pratica, in uso soprattutto presso le università private, di risparmiare sul personale docente conferendo incarichi a contratto ai soliti professori già incardinati altrove, rafforzando la gerontocrazia che, fuori ruolo per motivi di età, continuano a occupare cattedre a vario titolo, occludendo il canale di accesso a giovani ricercatori che vorrebbero fare carriera.

Paradossalmente, il decreto stabilisce come condizione per usufruire della deroga l’assegnazione di incarichi contrattuali a specifiche categorie, tra cui spicca proprio quella dei professori straordinari: nella stragrande maggioranza, proprio i più anziani a cui si accennava poc’anzi. L’argomento usato è quello delle lamentate difficoltà finanziarie, resta tuttavia l’interrogativo se non sia invece conforme a legge di natura, per un’università privata che si foraggia con le rette degli studenti, cessare di sussistere, piuttosto che pretendere di essere un’università senza (propri) docenti. Si tratta di una decisione passata sotto silenzio che affossa ulteriormente la situazione di giovani studiosi che, dopo anni di sudata fatica, si vedono così ulteriormente ostruita la via di accesso alla carriera. Oltretutto, sarebbe superfluo ricordare che, a seguito della riforma Gelmini, i contratti da ricercatore sono diventati a tempo determinato! Il che permette di considerare la vieppiù critica situazione creata con l’introduzione del sistema delle abilitazioni nazionali (come immediatamente visto nelle due prime tornate in cui ha avuto applicazione, dominato da logiche tutt’altro che cristalline presso le commissioni giudicatrici, vedi sito di ricercatori).

Un sistema, appunto, che stabilisce che qualunque ricercatore abbia interesse a continuare a lavorare debba ottenere detta abilitazione. Ammesso che, grazie ai buoni uffici conformi alle lottizzazioni, si ottenga l’abilitazione dalle mani della commissione giudicatrice, resta la necessità di trovare un’università disposta ad assumere il neo-abilitato alla II fascia di professore associato. Ma il decreto ministeriale del 27 marzo scorso conferma normativamente il vicolo cieco in cui i giovani studiosi si trovano, nella misura in cui autorizza formalmente a non assumere, a tutto vantaggio dei CdM delle università e della gerontocrazia, convergenti nel continuare a dividersi le spoglie.

Sicché l’abilitazione viene ridotta ufficialmente a vera e propria beffa da parte dello stesso ministero che la amministra, buona a essere appesa in bella mostra nelle case degli abilitati a indicare il titolo legale del proprio stato di disoccupazione. Chissà cosa ne pensa Renzi, nonché il suo ‘braccio destro’, Filippo Sensi, notoriamente così sensibile alla causa della cultura, della ricerca scientifica e dei destini dell’università italiana… Alla faccia della rottamazione!

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