Chi abita a Servola, il quartiere di Trieste a ridosso dell’impianto siderurgico detto ‘la Ferriera‘, se ne vorrebbe andare. Ma non c’è modo di vendere case a poche centinaia di metri dai forni dello stabilimento, che depositano quotidianamente polveri nere su balconi e finestre, ma soprattutto nei polmoni dei residenti. Non si vende perché nessuno vuole abitare dove, lo dicono i dati sull’aria rilevati dall’Arpa, la concentrazione di agenti cancerogeni supera i livelli del Tamburi di Taranto, il quartiere ammorbato dall’Ilva. E a parità di popolazione, prendendo in considerazione le morti connesse all’inquinamento degli impianti siderurgici, il numero registrato nel capoluogo giuliano è doppio rispetto a quello di Taranto. Gli inquilini delle case con vista sulla Ferriera non ne possono più: “Vorrei proprio vedere se il sindaco Cosolini comprerebbe una casa qui, gliela vendo io”, attaccavano durante le riprese per l’inchiesta de ilfattoquotidiano.it sui sospetti sversamenti di catrame, che hanno portato oggi a due rinvii a giudizio per violazione ambientale. “Abitare di fronte alla Ferriera di Servola? Una domanda mal posta”, rispondeva in quei giorni il primo cittadino di Trieste Roberto Cosolini, che chiariva: “Non lontano ci abitano mio figlio e mio nipote, conosco il problema”. Poi quando uscì il reportage, lo stesso sindaco si scagliò contro il Fatto evocando il giornalismo a orologeria: “C’è dietro una regia occulta per vanificare gli sforzi di rilanciare l’impianto” di Baraggino e Tieri

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