“Un rosario a cui siamo abituati”. Così Michele Vietti, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, ha bollato gli attacchi del Popolo della Libertà contro la sentenza della Cassazione che ha condannato Fininvest a risarcire 541 milioni di euro alla Cir di Carlo De Benedetti. Marina Berlusconi, presidente della società multata, aveva definito la decisione della Corte “uno schiaffo alla giustizia”. Le risponde indirettamente, con un’intervista al Tempo, Michele Vietti, che difende la magistratura: “I giudici sbagliano solo una volta su cento”.

Le polemiche innescate dalla sentenza sul lodo Mondadori non accennano a spegnersi. E se il centrodestra è passato all’attacco parlando di errori della magistratura, il vicepresidente del Csm fa notare come le 2.500 richieste di indennizzo per ingiusta detenzione siano una minima parte rispetto alla totalità delle sentenze emesse. “Il numero delle richieste di indennizzo va rapportato a quello delle sentenze emesse – ha detto – Secondo i dati ricavabili dall’ultima relazione del Primo Presidente della Corte di Cassazione in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, nel 2012 la Corte suprema ha emesso più di 50mila sentenze, le Corti di Appello circa 90mila e i giudici di primo grado oltre 1.200.000. Il totale degli affari penali pendenti è di oltre 3.200.000 unità. Fatta la proporzione gli errori sono meno dell’1% del totale, una percentuale obiettivamente modesta rispetto a quella di molte altre categorie professionali”.

“Rimane il rammarico per chi patisce un’ingiustizia – ha spiegato ancora Vietti- ma ahimè nel decidere è insito un margine di fallibilità, che non necessariamente è indice d’inadeguatezza tecnica ma talora è addebitabile alle difficili condizioni in cui si lavora”. Dall’esperienza degli errori giudiziari, rimarca il vicepresidente del Csm, bisogna porre rimedio con un intervento del Parlamento. “Il legislatore – suggerisce Vietti – potrebbe meglio definire i presupposti delle indagini degli uffici di procura, individuare un meccanismo condiviso nella scelta delle priorità dell’esercizio dell’azione penale, disciplinare con maggior rigore gli strumenti investigativi, specie quelli più invasivi, garantendo che siano funzionali alla ricerca della prova e non del reato”. E ancora: “Si potrebbe intervenire sulla durata della fase delle indagini preliminari e sui termini per l’esercizio dell’azione. Tutto ciò, ben più di tante sterili polemiche, consentirebbe di limitare quelle anomalie nelle inchieste”.

Dal 1988, con l’entrata in vigore della legge Vassalli sulla responsabilità civile, a oggi, nei confronti dei giudici sono state intentate 406 cause. Ma appena 4 si sono concluse con una condanna, meno dell’1%. “Certamente la legge sulla responsabilità civile dei magistrati del 1988 ha funzionato poco -fa notare Vietti- Potremmo consolarci ricordando che i nostri dati non sono dissimili da quelli francesi, ma questo non risolverebbe il problema”. Per il vice presidente del Csm, “si potrebbe pensare quindi ad eliminare il filtro di ammissibilità dell’azione, prevedendo l’obbligo di rivalsa per lo Stato nei confronti del magistrato ritenuto responsabile dell’errore anche entro massimali più congrui di quelli attuali”. “Ciò che non mi convince affatto -conclude Vietti- è l’idea di un’azione risarcitoria diretta da parte del cittadino nei confronti del singolo giudice, che avrebbe effetti molto pericolosi, sia in termini di numero di procedimenti (ogni causa ne genererebbe almeno un’altra, con buona pace dei tempi della giustizia civile), sia in termini di indipendenza ed imparzialità dei magistrati, la cui serenità di giudizio potrebbe seriamente risentire della ‘legge del più forte’…”.

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