Un nuovo catalizzatore messo a punto dai ricercatori dell’Università di Trieste in collaborazione con la Pennsylvania University promette di ottenere un impatto ambientale praticamente ad emissioni zero, grazie alle ricerche condotte da Matteo Carganello con la collaborazione di Paolo Fornasiero e Tiziano Montini. Nonostante il metano sia decisamente più efficiente dal punto di vista ambientale rispetto al carbone e al petrolio, il suo utilizzo non è privo di emissioni a cui si deve aggiungere un certo deterioramento degli attuali catalizzatori per colpa delle alte temperature a cui vengono sottoposti. I catalizzatori non sono altro che degli intermediari che permettono ad una reazione chimica di avvenire più velocemente, in modo più sicuro oppure restituendo materiali di scarto innocui: lo stesso principio utilizzato dalle marmitte catalitiche. In modo particolare per il metano, gli attuali catalizzatori utilizzano una struttura di nanoparticelle metalliche di Palladio, depositate su ossidi di Cerio e permettono di raggiungere una certa efficienza intorno ai 600/700 gradi centigradi. Una temperatura che non è priva di piccole emissioni e che nel tempo porta al deterioramento dei componenti interni utilizzati. 

La ricerca condotta in collaborazione con l’Universidad de Cádiz (Spagna) i cui risultati sono stati pubblicati su Science, utilizza essenzialmente le stesse materie prime, ma ad essere rivoluzionario è il metodo con cui queste vengono assemblate. “È difficile venirne a capo con materiali che sono abbastanza attivi e sufficientemente stabili da resistere alle dure condizioni di combustione del metano – ha commentato Raymond Gorte, professore al Dipartimento di chimica biomolecolare della Pennsylvania – ma i nostri materiali sembrano decisamente promettenti”. Il principio utilizzato è quello di un auto-assemblaggio di nanoparticelle: le particelle di Palladio di appena 1,8 nanometri di diametro vengono circondate da gusci protettivi di Cerio poroso andando così a formare delle piccole sfere con un cuore metallico all’interno. Per evitare la formazione di grumi che potrebbero compromettere l’efficienza, il tutto viene depositato su una superficie idrofoba con ossidi di alluminio che permettono di ottenere una distribuzione uniforme delle particelle. “Queste tecniche sono comuni negli studi di nanotecnologie, ma credo che sia un approccio del tutto nuovo nella produzione di catalizzatori”, ha aggiunto Gotre.

La struttura messa a punto dai ricercatori è sorprendentemente più efficiente rispetto agli attuali catalizzatori di quasi 30 volte, permettendo di sfruttare a pieno la combustione del metano e avendo praticamente emissioni zero. Ad incoraggiare la ricerca sono state anche le temperature raggiunte: se normalmente erano necessari 600/700 C°, per i nuovi catalizzatori “made in Italy” basteranno appena 400 gradi permettendo così di evitare il tradizionale deterioramento dei materiali. “Possiamo immaginare che questo catalizzatore contribuirà alla lotta contro l’inquinamento dei gas di scarico delle automobili e magari riuscirà a migliorare anche l’efficienza delle turbine a gas”, ha dichiarato Matteo Garganello. Nonostante l’inquinamento atmosferico sia inferiore agli altri combustibili, gli ossidi di azoto e le parti di gas non bruciato che vengono riversate in atmosfera contribuiscono al gas serra quasi 20 volte in più che la CO2. Ad essere rivoluzionaria è quindi la struttura delle particelle che permette, a parità di materiali, di ottenere risultati importanti in efficienza ed emissioni. Il secondo stadio della ricerca mirerà proprio in questa direzione, cercando di utilizzare materiali differenti, così da trovare il catalizzatore migliore: “Possiamo utilizzare il metodo di assemblaggio – conclude Carganello – per testare diversi tipi di metalli ed ossidi. Questo processo ci permetterà di stilare un’intera biblioteca di materiali, alcuni dei quali potrebbero essere ottimi catalizzatori per reazioni chimiche che vanno anche oltre la combustione del metano”.

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