Il mare copre circa il 70% del nostro pianeta. Lì è nata la vita e da lì essa dipende.

Nonostante questo, negli ultimi decenni l’uomo, ha iniziato a compromettere pesantemente la Terra, sfruttandola come mai era accaduto prima. Mare compreso.

La situazione è sotto gli occhi di tutti e invertire la tendenza è cosa difficile e coraggiosa, visti gli interessi economici e politici in gioco, e molto spesso anche rischiosa. Nonostante questo, alcuni giorni fa è arrivata una nuova dimostrazione di coraggio e questa volta non da parte di un singolo cittadino o di una associazione ambientalista, bensì (fatto ben più raro) da uno stato: l’Australia.

Il ministro dell’Ambiente australiano, Tony Burke, ha infatti annunciato la creazione lungo tutto il continente di un network di aree marine protette, che di fatto porterà all’istituzione della riserva marina più grande del mondo, cercando di mettere d’accordo tutti gli stake-holders: mondo della pesca, ambientalisti, scienziati e realtà imprenditoriali (per esempio le società di estrazione petrolifera off-shore).

Il coraggio qui non sta tanto nello sfidare i molteplici interessi in gioco, ma nel cercare di cambiare rotta a una specie (la nostra) ormai votata, in generale, a un folle suicidio collettivo. Lo sfruttamento delle risorse naturali e il depauperamento del pianeta, infatti, provocherà danni a tutti gli essere viventi, noi compresi. Conservare la natura e gestire con raziocinio le sue risorse, oltre che a un indubbio valore etico ha, quindi, anche un interesse diretto nella salvaguardia della nostra specie per gli anni futuri, in termini di wellness e in termini anche prettamente economici (Balmford et al., 2002. Science, 5583:950-953).

Tuttavia l’uomo, sopratutto negli ultimi 150 anni, ha dato dimostrazione di poca oculatezza prediligendo “l’ora e adesso” piuttosto che “il domani”. Peccato che questo “ora e adesso” sia durato un battito di ciglia e si debba già fare i conti con i danni provocati da questo atteggiamento folle. Ma, nonostante sia evidente che un cambiamento sia necessario e urgente , la stragrande maggioranza dei governi che è alla guida della nostra specie continua a navigare lunga questa rotta sbagliata.

La riprova di questo è drammaticamente recente, sia su scala locale che globale. Nel primo caso, basta dare un’occhiata in casa nostra: il decreto Passera per lo sviluppo associa ancora la parola sviluppo ai soliti concetti mirati allo sfruttamento del territorio, senza incentivare azioni innovative (si dà il via libera alle trivellazioni in mare). Il secondo è il fallimento di Rio+20: i Paesi del mondo non sono riusciti a trovare accordi minimi per far sì che si possa almeno iniziare a costruire le basi per un nuovo modo di vivere per la nostra specie, votato non allo sfruttamento sfrenato del pianeta bensì verso una sua utilizzazione razionale. Questo fallimento è reso ancora più amaro perché l’ultima opportunità di trovare almeno un accordo minimo era proprio sulla salvaguardia degli oceani attraverso l’approvazione del cosiddetto “Ocean Rescue Plan”.

Eppure dalla società arrivano importanti segnali di voglia di cambiamento, sia dalla associazioni che lottano per la difesa dell’ambiente, che dai privati cittadini e, cosa forse ancora più rilevante dall’impresa. Basta sfogliare un recente e interessante libro, “Green Italy”, per trovare alcuni esempi virtuosi di imprenditoria illuminata anche nel nostro Paese.

E’ necessario quindi che, parafrasando Aldo Moro, la politica torni (o meglio, inizi) ad “essere per le cose che nascono, anche se hanno contorni incerti, e non per le cose che muoiono”. L’Australia sta dimostrando di voler camminare su questo sentiero e si pone come leader nella tutela del mare a livello mondiale. Sarebbe auspicabile che l’Italia, con i suoi oltre 7000 km di costa, seguisse a stretto giro questo esempio, iniziando semplicemente a fornire alle sue 30 aree marine protette (AMP) strumenti e risorse, operando seriamente contro la pesca illegale e non permettendo nuove attività dannose per l’ambiente marino. Ma l’Italia è il Paese di don Abbondio e, come lui afferma, pare proprio che, ahimè, il coraggio uno non se lo possa dare.

Libri citati
Ermete Realacci, 2012. Green Italy, 316 pp., Chiarelettere Editore srl, Milano

Articoli scientifici citati
Balmford et al., 2002. Science, 5583:950-953

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