Il Teatro alla Scala è l’istituzione culturale milanese più conosciuta nel mondo. È il simbolo della città. È mai possibile che non si curi di risolvere – e al più presto, senza fare melina – il problema amianto? Sì, perché la Scala ha un problema amianto. Qualche giorno fa è morto per mesotelioma pleurico (il cancro polmonare provocato dall’amianto) Roberto Monzio, mitico caposquadra dei vigili del fuoco del teatro. È la seconda vittima del mesotelioma: qualche anno fa era deceduto Enzo Mantovani, meccanico di palcoscenico. Un altro dipendente, il siparista Demetrio Asta, è stato colpito da abestosi cronica (una patologia provocata dalle fibre killer). E altri sette decessi potrebbero essere stati provocati dall’amianto.

Questo, almeno, è ciò che sospettano i dipendenti della Scala che hanno costituito un “Comitato ambiente e salute” e distribuito a tutti i colleghi una scheda per chiedere di essere inseriti nel registro delle persone esposte all’amianto, in modo da poter avere i necessari controlli sanitari periodici. Per ora hanno già firmato la richiesta 150 degli 800 dipendenti. Secondo il comitato, l’amianto era presente in diversi punti del teatro: nel sipario antiacustico, negli stipiti delle porte tagliafuoco, nei rivestimenti delle pareti e dei soffitti, nella cupola della platea, nella stanza sopra il lampadario, nel palcoscenico, nei laboratori… Il teatro è stato radicalmente ristrutturato, tra il 2002 e il 2004, quando è stato riaperto con “una clinica svizzera costruita sopra l’edificio del Piermarini”, come dice Elio delle Storie Tese, riferendosi al progetto di Mario Botta. Eppure la ristrutturazione, così profonda, non ha eliminato l’amianto. Tanto che il teatro ha dovuto essere chiuso per due mesi nel 2009, per la bonifica della volta sopra la platea. Altri interventi sono stati poi realizzati nell’agosto del 2010. Ma i promotori del comitato temono che qualcosa sia sfuggito, che tracce di amianto si annidino ancora nel teatro e nelle sedi di lavoro decentrate: l’edificio in via Verdi e i laboratori di via Bergognone, di Pero e della Bovisa. Non sappiamo se si tratta di paure infondate. Ma certamente le pericolosissime fibre c’erano fino alle bonifiche. Vi sono stati esposti tutti coloro che hanno lavorato nel teatro, magari per tutta una vita. E anche le centinaia di bambini e ragazzi della scuola di ballo, che hanno passato otto ore al giorno, per anni, nella contigua palazzina di via Verdi.

Brutta faccenda, l’amianto alla Scala. Brutto ammettere che nel teatro più noto del mondo potrebbero essere a rischio tutti coloro che vi hanno lavorato negli ultimi decenni, i tecnici, gli amministrativi e le “masse artistiche”, cioè i membri dell’orchestra, del coro e del balletto. Ma far finta di niente non è una buona politica. Che cosa aspetta, il consiglio d’amministrazione composto da personaggi tutti di peso, anche se per diversi motivi (Bruno Ermolli, Stéphane Lissner, Francesco Micheli, Corrado Passera, Guido Podestà, Aldo Poli, Massimo Ponzellini, Paolo Scaroni, Fiorenzo Tagliabue, oltre naturalmente al sindaco Giuliano Pisapia). Che la procura di Milano apra un’inchiesta? Non sarebbe meglio affrontare prima il problema a viso aperto?

Il Fatto Quotidiano, 24 novembre 2011

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