Mauro Rostagno

Chissà perché un anno dopo il delitto di Mauro Rostagno, il procuratore della Repubblica di Trapani, Antonino Coci, si affrettò a ordinare la smagnetizzazione delle intercettazioni telefoniche fra l’ex presidente del Consiglio, Bettino Craxi, e il suo amico fraterno Francesco Cardella. Certo, Cardella non era un personaggio qualsiasi: accusato otto anni dopo dal nuovo procuratore di essere il mandante dell’omicidio Rostagno, col quale nell’81 aveva fondato la comunità per il recupero dei tossicodipendenti “Saman”, dopo l’archiviazione di quell’indagine, fugge in Nicaragua dove, dal presidente comunista Daniel Ortega, viene nominato ambasciatore nei Paesi del Maghreb.

Ma da diverse fonti Cardella è indicato agente dei servizi segreti, massone, vicino ai boss trapanesi Totò e Calogero Minore, trafficante di armi e di materiale radioattivo con la Somalia, spregiudicato uomo d’affari che, grazie all’amicizia con l’ex segretario socialista, ispirò la legge Iervolino-Vassalli sulla punibilità dei tossicodipendenti, una norma che consentiva alle comunità terapeutiche dell’epoca – fra cui la Saman – di ricevere ingenti finanziamenti da parte dello Stato. Benché prosciolto, su Francesco Cardella pendevano ben sette rogatorie internazionali richieste dai magistrati della Dda di Palermo, convinti che il “guru” di “Saman”, sul delitto Rostagno, sapesse molto.

“Cardella era convinto”, dice il suo legale Nino Marino, memoria storica dell’antimafia trapanese, “che se si fosse presentato in Italia per deporre, sarebbe stato arrestato e condannato”. Quindi se ne è rimasto in Nicaragua, senza farsi sfiorare dall’idea di scrivere un memoriale o quantomeno degli appunti per aiutare la giustizia italiana, fino a quando nello scorso agosto, a 71 anni, un infarto fulminante lo ha stroncato portandosi la sua vita e i suoi eventuali segreti. Perché su una cosa non dovrebbero esserci dubbi: “Cardella sapeva”, seguita l’avvocato Marino. “Craxi all’epoca possedeva gli strumenti giusti per dare una attendibile di lettura dell’omicidio e sicuramente ne ha parlato con lui”. Chissà quali erano le confidenze che fra il 1988 e il 1989 scorrevano sul filo telefonico Trapani-Roma?

Rostagno era stato assassinato la sera del 26 settembre 1988 da un commando armato fino ai denti nei pressi della comunità, nelle campagne di contrada Lenzi, mentre tornava dagli studi di Rtc, l’emittente televisiva dalla quale ogni giorno denunciava il micidiale intreccio fra mafia, massoneria deviata e politica corrotta. Per gli editoriali e le inchieste sul delitto del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari, sulla loggia segreta “Iside 2” che operava all’interno del circolo culturale ‘Scontrino’ (che faceva da copertura), e sui torbidi affari della politica locale, era stato avvisato “di non dire minchiate” dal boss di Castelvetrano, Mariano Agate. Ma era tutto il sistema a non tollerarlo più, mentre la sua popolarità aumentava a dismisura e lui negli ultimi mesi della sua vita – quando la ‘Primavera’ palermitana di Leoluca Orlando sconvolgeva assetti consolidati da tempo per quell’alleanza ‘anomala’ con i comunisti – meditava un impegno in politica con i movimenti della sinistra trapanese.

Chissà quali informazioni ‘segrete e riservate’ affluiscono all’ex inquilino di Palazzo Chigi nei giorni convulsi del dopo Rostagno. Chissà se arrivano solo da parte di organi investigativi ufficiali, o anche da organi investigativi non ufficiali? E sì, perché la Trapani di allora – punto nevralgico del traffico d’armi con la Somalia ai tempi della cooperazione con l’ex dittatore Siad Barre, e coagulo di interessi inconfessabili fra Cosa nostra, massoneria deviata e politica corrotta – pullula di agenti dei servizi segreti deviati e dell’organizzazione paramilitare Gladio, il cui responsabile, il maresciallo Vincenzo Li Causi (‘agente con licenza di uccidere’), è lo stesso che aveva capeggiato, per conto di Craxi, l’’operazione Lima’ – un’operazione costata 5 miliardi di vecchie lire e giudicata illecita dall’opposizione – per difendere il presidente del Perù Alain Garcia dai guerriglieri di Sendero Luminoso. Li Causi, prima di Trapani, lo ritroviamo in Somalia, dove viene ucciso in circostanze misteriose nel torbido contesto del traffico d’armi.

Chissà perché di quei nastri non resta traccia, malgrado qualcuno dei carabinieri addetti all’ascolto telefonico li definisca ‘interessanti’. E chissà perché spariscono pure i brogliacci dove si dovrebbe fare l’elenco minuzioso, con tanto di data e di ora, di quelle intercettazioni. E come mai il procuratore, negli stessi momenti, si affretta a dichiarare che ‘a Trapani la mafia non esiste?’, malgrado l’uccisione del sostituto procuratore Giangiacomo Ciaccio Montalto, la scoperta della raffineria di eroina più grande d’Europa (un ricavato di 5 miliardi al giorno di vecchie lire), e quell’attentato fallito al giudice Carlo Palermo, che per errore aveva causato la morte di una madre e di due bambini.

Già prima ancora che Rostagno morisse, gli alti vertici della magistratura e dell’Arma sapevano che Rostagno, poche settimane prima del delitto, non solo era riuscito a fare un’incursione nei locali della ‘Iside 2’, una delle logge massoniche più potenti d’Italia, ma era venuto a conoscenza del fatto che Licio Gelli era in rapporti strettissimi con il Gran Maestro della ‘Iside 2’ Gianni Grimaudo, e che lo stesso Gelli, qualche anno prima, si era recato a Mazara del Vallo, ospite del boss Mariano Agate e del suo braccio destro Natale L’Ala. Magistrati e carabinieri di Trapani sapevano che il giornalista stava indagando segretamente su questa ‘cosa grossa’. E sapevano che un sottufficiale dell’Arma di Trapani, il brigadiere Beniamino Cannas, aveva convocato Mauro in caserma per interrogarlo proprio su questi argomenti.

Eppure oggi, al processo sul delitto Rostagno – unici imputati il boss di Trapani Vincenzo Virga e il killer Vito Mazzara – l’ex brigadiere stranamente non ha ricordato questo particolare. Ci sono volute tre udienze perché, al cospetto del verbale di interrogatorio firmato da lui, gli tornasse la memoria. E chissà perché – malgrado queste notizie clamorose – allora i carabinieri scartarono la tesi del delitto di mafia (entrando in contrasto con la Polizia) e portarono avanti l’ipotesi dell’omicidio commesso dai piccoli spacciatori di droga che odiavano Rostagno?

Ventitré anni contrassegnati dalle amnesie, ma anche, per dirla con Antonio Ingroia, Pm del processo Rostagno, ‘dai depistaggi e dalle gravi anomalie investigative’. Una coincidenza che pochi minuti dopo il delitto, in seguito alla perquisizione dei carabinieri, dal tavolo del giornalista sparisca una audiocassetta dove Mauro avrebbe registrato i nomi di mafiosi e di massoni (fra cui Cardella), e una videocassetta (con la scritta ‘Non toccare’) dove avrebbe filmato l’atterraggio di aerei C130 – sfuggiti al controllo radar – sulla pista militare di Kinisia, contrassegnata da misteriose sigle non appartenenti all’Aeronautica militare, ma che potrebbero essere di Gladio? Da quei velivoli, secondo le ricostruzioni dei magistrati, si scaricavano delle armi destinate alla Somalia e ai Paesi dell’ex Jugoslavia.

Una spy story ambientata in una Sicilia dove non si muove foglia che la mafia non voglia, ma dove non è difficile intravedere, anche dopo ventitré anni, la mano dei servizi segreti deviati. Per farsi un’idea dei ‘buchi neri’ che in questi anni hanno contrassegnato le indagini, basta leggere una ‘riservata’ che l’ex procuratore di Trapani Gianfranco Garofalo spedisce nel 1996 (otto anni dopo l’omicidio) al collega di Caltanissetta: si parla di ‘fascicoli mancanti’, di ‘fascicoli inseriti con notevole ritardo’, di ‘rapporti acquisiti soltanto otto anni dopo dal Reparto Operativo dell’Arma dei carabinieri’ solo perché ‘questo Ufficio’ ne è venuto ‘casualmente a conoscenza’, ma anche di un rapporto dove ‘non c’è stranamente traccia di deposito ufficiale’ e di ben ‘dieci faldoni’ che dovrebbero essere allegati ma di cui ‘non vi è traccia’. Un esplicito riferimento viene riservato alla chiusura delle intercettazioni telefoniche tra la Saman e Craxi, e anche allo ‘strano comportamento’ del procuratore Coci, che ha mostrato ‘disinteresse’ ‘per le telefonate in questione’. Non è difficile leggere fra le righe lo sconcerto per la ‘decisione presa dai carabinieri di chiudere con esito negativo le intercettazioni in oggetto, con motivazioni a dir poco incredibili’.

Ma le ‘coincidenze’ non si fermano qui. In un rapporto giudiziario dei carabinieri di Trapani, datato 22 giugno 1987, si fa l’elenco degli insegnanti che fino all’86, quando scoppia lo scandalo della ‘Iside 2‘, hanno tenuto i corsi dentro il centro ‘Scontrino’. Fra questi ci sono le mogli di qualche magistrato trapanese. Uno si chiama Carmelo Lombardo. La consorte tiene dei corsi per ‘assistenza agli handicappati’. Lombardo è colui che, dopo il delitto Rostagno, dichiarò fallito l’editore di Rtc, Puccio Bulgarella, legato ai Minore e fino alla metà degli anni Ottanta, con 20 miliardi di fatturato l’anno, uno dei più ricchi imprenditori della provincia. Dopo l’omicidio di Totò Minore, che lo garantiva soprattutto nel settore degli appalti, per Bulgarella cominciò un lento e inesorabile declino, un declino che la presenza ingombrante di Rostagno a Rtc probabilmente affrettò. “Il giudice Lombardo”, dice l’avvocato Marino, “oltre alla moglie che insegnava al centro ‘Scontrino’, intratteneva un intenso rapporto con il Gran Maestro della ‘Iside 2’, Gianni Grimaudo, e col suo vice Natale Torregrossa: lo documentano dei filmati durante alcune feste. Lombardo dichiarò fallito Bulgarella senza aspettare l’esito del concordato preventivo presentato dall’imprenditore e accettato dai creditori. Il Consiglio superiore della magistratura, ritenendo che ci fosse una incompatibilità ambientale, lo trasferì a Palermo”.

L’altro magistrato si chiama Massimo Palmeri. Ha indagato sul delitto Rostagno dal ’92 al ’95, anno in cui ha presentato richiesta per l’archiviazione delle indagini, successivamente respinta dal Gip. Anche la moglie di Palmeri dal’85 all’86 ha tenuto “corsi per segretaria d’azienda” all’interno del centro “Scontrino”, ma ancora nessuno a Trapani sapeva che dentro quel circolo operasse una loggia massonica molto pericolosa. Una coincidenza anche questa.

di Luciano Mirone

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