«Nessuno si può permettere battute d’arresto e per questo motivo non ci possiamo accontentare più di battaglie vinte. Bisogna essere realisti, senza una rivolta di massa non ci sarà mai la vittoria finale. E allora bisogna ricordarlo: la gran parte degli operatori economici paga ancora il pizzo. Palermo è ancora una città in precario equilibrio tra disincanto e speranza. Ed è proprio questa delicatissima situazione che dà valore alla nascita di Libero futuro, un’associazione che organizza l’autodifesa degli operatori economici e che lavorerà per moltiplicare le denunce contro i mafiosi. È una sfida ardua, è un’iniziativa nata in nome di Libero Grassi e di tutti quei cittadini che in difesa della dignità dell’uomo e in nome della Repubblica italiana sono caduti nella lotta a Cosa Nostra. La posta in gioco è enorme, è il futuro che vogliamo: un futuro giusto, laborioso e creativo. Ma la partita si gioca ora.

«Noi del comitato Addiopizzo siamo arrivati a questo fondamentale appuntamento senza inutili e sterili protagonismi come qualcuno, se ha rispetto, dovrebbe pur smettere di insinuare. Ci siamo arrivati con tanti sacrifici, senza il sostanziale aiuto delle associazioni di categoria della città, e rispondendo continuamente e in diverse maniere a una domanda di fondo: nel nostro piccolo, cosa possiamo fare per la nostra terra? Badate, non cosa deve fare lo Stato, ma cosa possiamo fare noi per Palermo, per la Sicilia, per la Repubblica. Il consumo critico e l’associazionismo antiracket sono le risposte che sinora ci siamo dati, gli strumenti di cui ci siamo dotati.

«Per quanto riguarda la campagna Contro il pizzo cambia i consumi, ci proponiamo di svilupparla sempre meglio e di esportarla anche nelle altre province della Sicilia. Se altre associazioni antiracket ci danno un concreto e significativo aiuto contiamo di riuscirci: intanto qui in sala ci sono i nostri cugini di Addiopizzo Catania. Il consumo critico antipizzo determina un allargamento del fronte sociale e può dare una prospettiva di lotta anche dopo l’esaurimento delle vicende giudiziarie. L’associazionismo antiracket e il consumo critico antipizzo, insieme, possono quindi diventare strumenti di solidarietà nello stesso momento in cui esprimono la spinta verso un mercato veramente libero e responsabile. Sono strumenti sicuramente migliorabili e che ci impegniamo a migliorare, ma che da soli, di certo, sono insufficienti per scardinare l’intero sistema delle estorsioni mafiose. E, d’altronde, non si possono semplicemente aggiungere al lavoro che l’apparato repressivo dello Stato continua a svolgere. La repressione, la lotta dal basso, e l’educazione ai diritti sono assolutamente necessari, ma non sono sufficienti. Perché non si paga solo per paura. E proprio per questo motivo siamo convinti che la lotta al pizzo e a Cosa Nostra non possa che passare attraverso una maggiore responsabilità e nuove forme di impegno da parte di quelli che Paolo Borsellino chiamava “pubblici poteri”.

«Non si paga solo per paura, esistono anche connivenze e collusioni, che vanno tenute distinte e distintamente trattate. Quindi è doveroso discernere e individuare, caso per caso, gli strumenti adeguati.

«Bisogna dirselo chiaramente: se da un lato ci sono imprese che si impongono sulla concorrenza onesta pagando la forza intimidatrice della mafia, dall’altro ci sono funzionari e politici che inquinano le pubbliche amministrazioni. In questi casi serve l’apparato repressivo ma soprattutto una politica onesta e credibile che non si faccia alcuno scrupolo a marginalizzare personaggi borderline o con condanne per mafia alle spalle. Chi è stato delegato per rappresentare pubblici poteri, con certi personaggi non ci può parlare. Punto e basta. Se associazioni come Confindustria, Confesercenti e Confcommercio si dichiarano pronte a espellere chi paga il pizzo – e lo faranno sul serio – il minimo che devono fare i partiti è operare in maniera analoga al loro interno e negli ambienti nei quali si ritrovano a fare politica. Al di là della responsabilità penale, che va individuata, come avviene, garantendo i diritti degli imputati, occorre riconoscere le responsabilità politiche che devono essere sanzionate e censurate.

«Continuiamo a discernere. Ci sono pure quelli, è proprio il caso di ricordarlo, che la “messa a posto” se la vanno a cercare, e quelli che convocati per confermare di essere vittime del racket, malgrado i riscontri forniti dalle indagini, negano l’evidenza dell’estorsione subita, preferendo l’accusa di favoreggiamento a Cosa Nostra. A tal proposito noi crediamo che nei processi ci possa costituire parte civile anche contro i favoreggiatori. L’abbiamo fatto e pensiamo che, per coerenza, debbano farlo anche le associazioni di categoria che si dichiarano pronte a espellere chi non collabora con gli inquirenti e la magistratura. Crediamo sia una scelta importante e pertanto chiediamo, quanto meno, che le associazioni si pronuncino al riguardo. Ma anche questo non può bastare, perché riteniamo che occorrano degli interventi a monte, e di carattere sistemico. Se ci si convince tutti di ciò, allora bisogna prospettare a chi ancora oggi percepisce il pizzo non come una limitazione della propria libertà ma come un costo, uno tra gli altri, da affrontare per potere operare nel mercato, allora a questi imprenditori, e a tutela di chi invece vuole o vorrebbe lavorare nel rispetto di tutti, bisogna prospettare un mercato con regole all’altezza della sfida, con delle maglie a difesa della Repubblica più strette e robuste. Regole che ricordino a tutti cosa significa parlare della responsabilità sociale delle imprese.

«Il comitato Addiopizzo, durante la campagna elettorale per le amministrative, ha proposto ai candidati, e lo proponiamo oggi alla nuova amministrazione Cammarata, l’inserimento nei bandi di gara e nei contratti di “clausole antiracket”, pena la rescissione del contratto. Clausole molto simili sono state adottate di recente dal Comune di Corleone, e si stanno dimostrando efficaci a Gela.

«Noi crediamo che possano essere molto utili anche a Palermo, e nel momento in cui le riproponiamo all’amministrazione, dalla quale ci attendiamo una sincera disponibilità al confronto, anche a tal proposito, chiediamo si pronuncino le associazioni di categoria della città di Palermo.

«Gli incentivi una tantum o i contributi per l’istallazione di sistemi di videosorveglianza possono essere utili, ma ciò che crediamo sia necessario è un quadro normativo che, in terra di mafia, crei un sistema a tutela della imprese oneste. Per una convivenza democratica, per una sana e leale competizione economica, che consenta sviluppo e giustizia sociale, la scommessa è vincolare saldamente, anche attraverso delle norme, i singoli interessi materiali ai valori etici e civili della democrazia.

«Oggi questo consenso potrebbe essere considerato anche un’adunata di tutte le forze disponibili. Ma l’unità del fronte si costruisce sulla base di una scelta chiara, coerente, netta e irreversibile. È la scelta delle denunce, delle denunce collettive e dell’associazionismo antiracket. Pertanto è ineluttabile andare ben oltre l’attività dello sportello della legalità presente alla Camera di commercio, che di certo è utile contro l’usura, ma che non ci risulta abbia prodotto denunce contro le estorsioni mafiose. Ci rivolgiamo ai dirigenti di tutte le associazioni di categoria di Palermo.

«Andate per strada, dentro i cantieri, dentro i negozi, nelle imprese, parlate con il maggior numero dei vostri associati. Voi li conoscete bene, incoraggiateli, metteteli a conoscenza degli strumenti di lotta già a disposizione, informateli della nuova associazione antiracket. Potete moltiplicare esponenzialmente le denunce. Potete, quindi dovete. Non c’è altra via. (segue)

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