Invece Libero Grassi lo grida che la mafia esiste e che lui non si piega. Dopo aver ricevuto una telefonata del «geometra Anzalone» in cui gli viene detto che se non fossero arrivati i soldi sarebbero cominciati i «bombardamenti, i colpi di pistola, i fuochi d’artificio», scrive una lettera al «Giornale di Sicilia» che squassa la città, che fa il giro dell’Italia e del mondo. Era il 10 gennaio del 1991.

Per Cosa Nostra è una provocazione inaccettabile, che va punita con il sangue. Per la prima volta un imprenditore siciliano affronta pubblicamente i mafiosi, dice chiaro e tondo che non li pagherà: «Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i cinquanta milioni poi torneranno alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “geometra Anzalone” e diremo di no a tutti quelli come lui… Anche mio figlio Davide, che dirige l’azienda al mio fianco, la pensa come me… Mi dispiace per gli altri amici imprenditori che pagano e stanno zitti: io voglio reagire.»

Il Prefetto Mario Jovine e il questore Fernando Masone si fanno fotografare mentre stringono la mano a Libero Grassi che rifiuta una scorta personale. Accetta invece la vigilanza della polizia davanti alla fabbrica. Riceve anche telegrammi e fax di solidarietà.

Ma Libero Grassi non riceve l’unico atto di solidarietà che forse gli avrebbe salvato la vita: l’adesione alla sua scelta della Confindustria di Palermo. Peggio ancora, il presidente Salvatore Cozzo, democristiano della corrente di Salvo Lima, prende le distanze da lui pubblicamente, con la solita solfa ipocrita che non si può infangare il buon nome della Sicilia, che Libero Grassi ha scatenato una «tammurriata», che non si può descrivere l’isola come una terra dove a causa della criminalità l’impresa non può crescere.

La polizia intanto, grazie alle denuncie di Libero Grassi, identifica e arresta gli estorsori che avevano ricevuto denaro da molti altri commercianti e imprenditori palermitani, tutti silenziosi.

Il 19 marzo del 1991 manda in carcere i fratelli Gaetano e Antonio Avitabile, alias «geometra Anzalone», insieme ad altri quattro uomini del clan capeggiato da Francesco Madonia.

Quel giorno sul quotidiano «L’Ora» Libero Grassi commenta gli arresti: «Non sono dei superman… fornendo alla polizia tutti gli elementi di cui si è in possesso si passa in vantaggio, non si rimane nel piano inferiore del timore… I rapporti di forza tra uno che ti deve sparare e tu che non hai paura evidentemente si capovolgono. Non ritengo ci voglia particolare coraggio. È questione di un ragionamento a favore dei propri interessi: pagando si va contro se stessi… per mia cultura non vendo parte di me stesso al criminale.»

Il 28 marzio del ’91 dall’altro lato dell’isola, a Catania, il giudice Luigi Russo, emette una sentenza che indigna Libero Grassi ma che non lo fa retrocedere di un passo dalla sua decisione di non cedere al ricatto mafioso.

Russo, assolve i cavalieri del lavoro dall’accusa di concorso in associazione mafiosa: in sostanza giustifica i loro rapporti con il boss Santapaola e il versamento di tangenti al clan sostenendo che hanno agito, come gli altri imprenditori siciliani che pagano, in stato di necessità. Quindi non sono punibili anche se taluni loro comportamenti sono stati censurabili moralmente e se c’è stato il reato di favoreggiamento, caduto però in prescrizione.

Davanti a una platea di studenti, Libero Grassi esprime la sua rabbia: «La decisione scandalosa del Giudice istruttore di Catania, Luigi Russo, che ha stabilito che non è reato pagare la protezione ai boss mafiosi è sconvolgente… Stabilire che in Sicilia non è reato pagare la mafia è ancora più scandaloso della scarcerazione dei boss. Ormai nessuno è più colpevole di niente. Anzi, la sentenza del giudice Russo suggerisce agli imprenditori un vero e proprio modello di comportamento: pagate i mafiosi. E quelli che come me invece cercano di ribellarsi?» .

Libero Grassi è sempre più consapevole di essere un bersaglio di Cosa Nostra, resta però sempre convinto che non rischia la vita, ma l’impresa. Ancora una volta cerca di non restare isolato, lancia un ultimatum all’associazione degli industriali: se non avesse preso una posizione chiara contro il pizzo si sarebbe dimesso.

Non ci sarà mai nessuna chiarezza da parte dell’associazione di categoria, che creerà il vuoto attorno a Grassi. L’imprenditore è costretto persino a chiedere alla Sicilcassa un rimborso perché l’istituto di credito aveva applicato a un finanziamento per la ristrutturazione della Sigma il sei per cento in più di interessi rispetto a quanto previsto.

La ribellione dell’imprenditore siciliano viene raccontata a «Samarcanda», trasmissione di Rai 3 dai grandi ascolti. È il giornalista Sandro Ruotolo che chiede a Libero Grassi di andare in studio. Grassi accetta e rilascia a Michele Santoro un’intervista appassionata, lucida, senza alcun tentennamento. A proposito del ruolo della politica, dice: «Chi dovrebbe combattere la mafia? La legge. E chi fa la legge? I politici… Se i politici avranno ottenuto il consenso onestamente faranno buone leggi, altrimenti le faranno cattive. E chi procura il consenso, in Sicilia, ai politici? La mafia…»

Spiegò così la sua scelta di non pagare: «Non sono un pazzo, sono un imprenditore e non mi piace pagare. Rinuncerei alla mia dignità. Non divido le mie scelte con i mafiosi.»

Cosa Nostra viene sfidata davanti a milioni di italiani. L’imprenditore immagina che davanti alla televisione ci fossero anche i mafiosi. Ricorda sua moglie: «Libero mi disse: “Chissà che lavata di testa gli hanno fatto al geometra Anzalone…”.»

La solitudine di Libero Grassi appare in tutta la sua evidente pericolosità il 4 maggio del 1991 quando la federazione dei Verdi (di cui Pina Grassi era la portavoce a Palermo) organizza un convegno nella sala consiliare del Comune dal titolo «Tranquillità ambientale e sviluppo economico» con Libero Grassi, Umberto Santino, presidente del centro di documentazione Peppino Impastato, Giuseppe Albanese, presidente provinciale dell’Associazione piccole imprese, Gianni Lanzinger, deputato verde e membro della Commissione parlamentare antimafia, Vincenzo Fazio, direttore dell’istituto di Economia della facoltà di Economia e commercio di Palermo, Costantino Garraffa, segretario provinciale di Confesercenti, Giovanni Salatiello, imprenditore e il giornalista del «Corriere della Sera», Felice Cavallaro. (segue)

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