A proposito di nipoti, Pina Grassi ne ha «adottati» un bel po’. Sono i ragazzi del comitato Addiopizzo, nato a Palermo nel 2004.

A dire il vero sono stati questi ragazzi a presentarsi da lei: «“Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Una mattina vedo questa scritta in giro per la città, su dei manifesti. Lì per lì non ho ben capito. Dopo qualche ora mi telefona una giornalista e mi chiede notizie in merito, ma io non sapevo nulla. Le risposi semplicemente: “Se fossero dei giovani potrebbero essere miei nipoti perché la pensano come me.”

«L’indomani vedo spuntare nel mio negozio tre ragazzi che dicono: “Noi siamo i tuoi nipoti.” Da quel momento sono la loro nonna, ringiovanita di vent’anni grazie a loro, al loro straordinario impegno. Finalmente dopo tredici anni qualcuno ha recepito il messaggio di Libero: dignità e libertà, queste due parole sono il suo autentico pensiero. La frase dei ragazzi di Addiopizzo è straordinaria perché non colpevolizza l’individuo ma l’intero popolo che deve riconquistare la propria libertà personale.

«Insieme abbiamo cominciato una rivoluzione culturale straordinaria, fondamentale. Perché soltanto da un’elaborazione culturale può nascere un movimento che in questo caso non accenna a fermarsi ma sta cambiando pian piano la maniera di pensare della gente. Bisogna offrire strumenti culturali alla gente, è l’ignoranza una delle maggiore iatture. Bisogna sapere che nei quartieri popolari di Palermo c’è il trenta per cento di evasione scolastica e chi non ha nemmeno le basi culturali difficilmente può avere il senso critico. Guardare la televisione e assumere per buono tutto quello di deleterio che propone.»

Il comitato Addiopizzo nasce dalla ribellione di sette ragazzi alla sola idea di dover pagare la mafia. Una sera si sono riuniti per progettare l’apertura di un pub e mentre discutevano si sono chiesti cosa avrebbero fatto se si fosse presentato un mafioso per riscuotere il pizzo. L’insofferenza a essere succubi, a essere schiavi, che avevano maturato dopo la morte di Libero, dopo le stragi, ha fatto loro elaborare l’indignazione pubblica che è diventata molto concreta. Hanno affisso quei manifesti, hanno cominciato a girare per negozi e convinto sempre più commercianti ad aderire a far parte della catena di esercizi «pizzo free» con tanto di bollino esposto.

«All’origine di questa iniziativa – spiega Pina Grassi – c’è il manifesto del “consumo critico”.

Chi lo condivide, assume la consapevolezza che comprando nei negozi che pagano il pizzo, involontariamente si contribuisce al pagamento del racket anche se in misura minima. Questo manifesto lo hanno firmato oltre diecimila persone. Inoltre il comitato Addiopizzo stampa dei vademecum con l’elenco degli imprenditori che aderiscono a «pizzo free», che vengono privilegiati dai consumatori critici nelle loro scelte d’acquisto. È uno straordinario pressing culturale che sta dando i suoi frutti.

«Adesso i “ragazzi” di Addiopizzo hanno un’età che oscilla tra i diciassette e i cinquant’anni. Io sono diventata il presidente del comitato, che prende le decisioni a maggioranza durante le assemblee. Ci riuniamo ogni martedì sera e accogliamo i commercianti e gli imprenditori che vogliono aderire. C’è naturalmente una scrupolosa selezione perché il rischio dell’infiltrato della mafia è sempre in agguato. Prendiamo le nostre precauzioni, le nostre informazioni con gli inquirenti e finora è filato tutto liscio. Per esempio all’ultima riunione si sono presentate cinque persone: un imprenditore edile che ha pagato il pizzo ma poi ha denunciato, una giovane donna che fa veli da sposa e che ha ricevuto strane telefonate, un ragazzo che nell’agrigentino produce formaggi di capra e un giovane che possiede un cabinato a vela. Quest’ultimi sono venuti nonostante non abbiano mai subito richieste estorsive ma vogliono prevenirle, vogliono aderire al comitato. Dopo i nostri attenti controlli li abbiamo inseriti nel nostro libretto degli esercenti “pizzo free”. Secondo i dati di maggio 2008 sono quasi trecento coloro che hanno aderito ma penso che arriveremo presto a quattrocento. Non siamo la maggioranza, me ne rendo conto, ma sono fiduciosa che il processo sia inarrestabile».

Il 10 novembre 2007 nasce anche la prima associazione antiracket di imprenditori e commercianti, Libero futuro. Dall’omicidio di Libero Grassi ne sono nate in diverse città d’Italia, ma mai a Palermo. La paura, l’omertà, la collusione sono state granitiche, ma granitica è stata anche la volontà di chi ha voluto continuare la battaglia civile di Libero Grassi, di chi non ha voluto rendere inutile la sua morte, di chi ha voluto vanificare l’obiettivo che hanno anche i mafiosi: colpirne uno per educarne cento.

Gli occhi color del mare di Pina Grassi risplendono ricordando quel giorno al teatro Biondo di Palermo: «Ero seduta in prima fila e mi guardavo intorno. Vedevo il teatro riempirsi fino all’inverosimile. Sono rimasta senza fiato, volevo urlare di gioia. Ho pensato che sarebbe stato meraviglioso avere Libero accanto, perché stava succedendo quello che avrebbe voluto. Ho pensato a quando abbiamo organizzato quel convegno nel ’91 e c’era il deserto. Penso sempre a Libero.»

Per il vergognoso comportamento di Confindustria nei confronti di Libero Grassi, isolato da vivo e rinnegato da morto, al teatro Biondo è stato il suo nuovo presidente, Ivan Lo Bello, a chiedere pubblicamente scusa: «Fu una pagina buia dell’imprenditoria siciliana. Oggi le cose sono cambiate e gli imprenditori non hanno più alibi per non denunciare il pizzo.»

Ricorda Pina Grassi: «Ivan Lo Bello mi ha raccontato che quando fu ucciso mio marito si vergognò e promise a se stesso che se avesse avuto una funzione pubblica sarebbe stato dalla parte di Libero Grassi. Così ha fatto da presidente di Confndustria con la scelta coraggiosa, epocale come dice Tano Grasso, di varare un codice etico che prevede l’espulsione degli associati che pagano il pizzo e non denunciano. Lui come altri suoi colleghi sono costretti a vivere scortati, ma adesso chi vuole denunciare ce la può fare, non è solo come lo eravamo noi.»

Alla presentazione di Libero futuro ci sono i vertici di Confindustria, diversi imprenditori, commercianti. Ci sono i magistrati, il Questore, il Prefetto. Non c’è il sindaco, Diego Cammarata, non c’è Roberto Helg, presidente di Confcommercio.

È Vittorio Greco, a nome di Addiopizzo che apre gli interventi con un discorso che è uno straordinario insieme di etica, progettualità politica, critica non certo fine a se stessa. Qualcuno potrebbe considerarlo utopico. Ma senza le utopie che possono diventare realtà, le società non si evolvono: «Oggi per noi è una giornata d’orgoglio e soddisfazione. Abbiamo raggiunto uno degli obiettivi che c’eravamo dati nel 2005: la creazione della prima associazione antiracket fatta da imprenditori palermitani. I fattori principali che hanno permesso questo storico risultato sono tre: la campagna di consumo critico antipizzo, il prezioso sostegno ricevuto dalla Federazione nazionale antiracket, i successi che da anni conseguono tutte le forze dell’ordine e la magistratura.

«Alla procura e alla prefettura di Palermo, ai carabinieri, alla guardia di finanza e alla polizia, innanzi tutto il nostro grazie e, perché no… l’applauso di tutti quelli che non vedono l’ora di liberarsi per sempre di Cosa Nostra. La cupola non esiste più. Per il momento. Perché non si ricrei è assolutamente necessario che, proprio in questo momento, imprenditori e commercianti comincino a denunciare in massa i loro estorsori. Senza il controllo del territorio garantito dalle estorsioni tutto l’edificio mafioso comincerà fatalmente a vacillare. Ora, proprio in questo frangente, gli dobbiamo togliere il terreno da sotto i piedi. (segue)

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