Dici “trasparenza” e spariscono tutti: chi si rintana in ufficio, chi si finge una pianta ornamentale. Succede perfino nelle amministrazioni centrali dello Stato, a partire dai ministeri: allo Sviluppo Economico su 3mila dipendenti non se ne trova uno disposto a imbracciare le armi contro la corruzione. Neppure per sbaglio. Non se ne dà pace il direttore generale Pietro Celi, che nella sua ultima relazione scrive: “La struttura di supporto al responsabile della prevenzione (Rpc) opera ai minimi termini: è composta da un solo funzionario e con scarse risorse logistico-strumentali. Anche nel 2016 non ci sono stati adeguati riscontri ai due interpelli divulgati per il reclutamento di personale interno. Ciò comporta, con ogni evidenza, pesanti sforzi nell’assicurare una più coerente risposta alle attese di norma e di prassi”. L’avviso è lì dal 30 novembre 2015, quasi 450 giorni.

Il fatto è che da due anni il bazooka dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) non spara più a salve ma multe da 500 a 10mila euro per chi non ottempera a tutte le norme che riguardano la trasparenza, dalla pubblicazione dei bandi alle gare d’appalto. Le sanzioni amministrative restano l’estrema ratio, e infatti quelle comminate dal 2015 ad oggi sono poco più di una ventina per un importo di poco superiore ai 54mila euro a fronte di una sterminata platea di amministrazioni. Siccome ricadono però anche sul singolo responsabile della prevenzione – è appena accaduto al Comune di Crotone con 1.100 euro di multa – pochi si arruolano volentieri nell’esercito della trasparenza, mentre sugli uffici gravano sempre maggiori obblighi a fronte dei quali nessuna amministrazione ha previsto rinforzi. In due, per dire, presidiano il fortino da 3.500 dipendenti della Presidenza del Consiglio.

L’Anac sa benissimo che così stanno le cose e del resto deve farci i conti anche in casa propria: la pianta organica prevede 350 dipendenti ma attualmente ne risultano effettivamente in servizio solo 282, più 4 in comando da altre Pa e 8 finanzieri. A seconda che si considerino o meno i comandi e i “distacchi” (12 in tutto) la scopertura oscilla dunque fra 56 e 68 unità. “Sono anni che diciamo che l’Anticorruzione ha le armi spuntate – dicono i parlamentari di Alternativa Libera,  Massimo Artini e Marco Baldassarre – ora che lo mettono per iscritto gli stessi ministeri, speriamo che il nuovo governo ascolti i nostri suggerimenti e vari quelle modifiche legislative indispensabili per avere una pubblica amministrazione onesta e trasparente”.

Chi non sfugge combatte con quello che ha. Al Ministero della Salute nel 2016 la verifica delle incompatibilità dei dirigenti “è consistita nell’esame delle risultanze della rete Internet”. Insomma, il buon vecchio Google. “La misura è di agevole attuazione, ma non garantisce risultati esaurienti”, annota con malcelata ironia Giuseppe Viggiano, responsabile della vigilanza dal 2013. In compenso si è provveduto a farli ruotare a passo marziale questi dirigenti tranne uno, un obiettore inamovibile, “in relazione al quale – si legge – il competente Direttore generale ha dettagliatamente rappresentato fattori ostativi all’avvicendamento”. Di quale natura non si può sapere ma tutti ruotavano intorno, lui è rimasto lì. Mica che gli capiti l’anticorruzione.

Alla Difesa nel 2016 sono stati presi provvedimenti contro 34 militari e 79 civili. C’è molto da fare insomma, ma anche qui il responsabile della prevenzione Bernardo Gallo lamenta “la mancanza di una struttura di supporto adeguata alle attività di impulso coordinamento e controllo”. Il paradosso: è ormai acclarato che il grosso degli eventi corruttivi riguardino strutture periferiche “presso cui non è tuttora possibile, per dimensione complessità dell’organizzazione, attuare in modo compiuto una strategia di gestione del rischio”.

Al Ministero della Giustizia la corruzione corre nelle carceri: 105 inchieste disciplinari, 39 sospensioni dal servizio, 24 destituzioni, 3 cessazioni per interdizione etc. Le più comuni per “introduzione di sostanze stupefacenti o cellulari, appropriazione indebita, autorizzazione di telefonate non consentite, favoreggiamento”. Insomma, vien fuori che le guardie fanno i ladri. Merito delle famose “soffiate”? Macché, qui il “whistleblowing” non è mai partito, si provvede ancora con la raccolta di lettere (“su base cartacea”) e pec, canali non proprio invoglianti per chi tiene alla legalità quanto all’anonimato. E il codice di comportamento? C’è solo la bozza. “Per queste attività manca il personale“, lamenta l’Rpc Raffaele Piccirillo.

Si arriva così alla Farnesina, dove proprio le sedi estere – 295 uffici tra ambasciate e consolati – non sono soggette a controllo preventivo di regolarità contabile ed amministrativa. E del resto non ci sarebbe il personale per farlo. Idem al Ministero dei Trasporti, dove molte misure “non sono state attuate o attuate solo parzialmente” per la carenza di risorse.  C’è poi l’atteggiamento “poco collaborativo” degli uffici per cui l’anticorruzione “non rappresenta ancora per tutti il punto di riferimento per l’affermazione della legalità”. Di più, le azioni del responsabile della prevenzione sono viste come “elemento invasivo nella gestione degli affari amministrativi”. E allora, dev’essere il ragionamento di molti: fattela tu, questa trasparenza amara.

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