Dopo l’incendiario Renzi il pompiere Gentiloni. Non c’entrava nulla col ministero degli Esteri, dove non lascia segni particolari. Giusto, perché non farlo premier? Venute meno le quotazioni di Dario Franceschini, impegnato nella trincea del Pd dilaniato, è stato convocato al Quirinale per traghettare il Paese verso una legge elettorale pur che sia e verso il voto, chissà quando. Paolo Gentiloni era il favorito per il post-Renzi, tanto che il 10 dicembre era a colloquio con lui e Franceschini a Palazzo Chigi, dove è pure tornato in serata. Rullo di tamburi per lui, un renziano più di fatto che di fede. Perché Gentiloni, 62 anni compiuti, è molte cose e nessuna: è blu, rosso, verde e bianco. Nobile di natali (conti Gentiloni Silverj) che militava però coi movimentisti lavoratori di Capanna e nel Partito di Unità Proletaria per il Comunismo; cattolico d’etichetta e formazione, poi co-fondatore della Margherita, ma abbastanza laico nello scegliere il fronte su Legge 40 e Pacs. In mezzo, un pedigree ambientalista ormai appannato e due incarichi da ministro piuttosto grigi. Davanti un grande ieri, come capo di un governo che nasce per morire insieme alla XVIIesima legislatura.

Profilo basso, sorriso mesto e sguardo vago. Il parlare lento e sofferto – da “canonico con la gotta“, si è scritto – che non provoca sussulti né sbalzi di pressione, ma anzi rassicura. Anche grazie a una provata propensione al martirio che ne fa un Forrest Gump della politica che sta in panchina, ma alla bisogna sempre corre-accorre-soccorre. Forse è proprio questo il “quid” che spinge il suo nome al centro della tela politica votata al logorio dei tempi moderni, tra chi tira i fili per ricucirla e chi pretende di strapparla chiamando il voto. Ma sbaglia chi pensa a un’investitura naturale: Gentiloni ha una propria storia, come vedremo, che incrocia il renzismo non per attrattiva (non è giovane, men che mai nuovo alla politica, né telegenico) ma per il moto dei corpi che governa il Parlamento, che lui frequenta da ben due lustri: da tempo girava così sulla propria orbita che quasi s’eclissava, finché la cometa da Rignano lo ha investito di nuova luce, facendolo ministro.

ESORDI ROSSI, VERDI E BIANCHI – Non è un cuor di leone, Paolo Gentiloni. Neppure un camaleonte e men che mai una gazzella. Forse una tartaruga dal carapace assai temprato che con felpato passo prima o poi arriva laddove le condizioni lo portano. E’ quasi un metodo, Gentiloni. Dalla militanza giovanile fa il salto di qualità come direttore di Nuova Ecologia, alla quale approda a metà anni Ottanta su chiamata di Chicco Testa ed Ermete Realacci, al tempo capi di Legambiente. Nei dieci anni passati al timone del settimanale, Gentiloni compie quella maturazione in senso rosso-verde che, di lì a poco, lo renderà uno dei protagonisti naturali della nouvelle vague della sinistra anni Novanta, tra nuovi radicalismi ed ambientalismi di maniera.

IL GRANDE SALTO – A quel periodo risale l’incontro con Francesco Rutelli, di cui diventa portavoce, poi assessore al Turismo con delega al Giubileo. E’ al suo fianco nella campagna elettorale da candidato premier nel 2001, è con lui quando mette insieme gli eredi di sinistra della diaspora Dc fondando la Margherita. Da quella porta entra in Parlamento, dove sarà eletto per quattro legislature.  E’ ancora al suo fianco nel 2006, quando c’è da mettersi il vestito buono e giurare al Quirinale come ministro delle Comunicazioni del secondo governo Prodi. Prova anche a fare una legge per limitare lo strapotere di Berlusconi ma il tempo la spazza via prima che possa scalfire il Biscione. Chi caldeggia il suo nome oggi, forse, pensa che dalle parti di Arcore sarà stato perdonato per questo.

UN (QUASI) RENZIANO – Nel frattempo prosegue il suo impegno nel partito, non più Margherita. Nel 2007 è tra i 45 membri del comitato promotore nazionale del Partito Democratico e nel 2009 viene nominato presidente del forum Ict dello stesso partito dall’allora segretario Pier Luigi Bersani, in rappresentanza della mozione Franceschini. Quando si abbatte il ciclone Renzi, Gentiloni non ha altre carte da giocare. Rutelli è un ricordo. Non resta che accreditarsi ala corte del nuovo sovrano del Pd e l’occasione sono le primarie di Roma del 2013: serve un candidato in quota Renzi che accetti di farsi bastonare ai gazebo contro Ignazio Marino. Gentiloni accetta sapendo che non avrebbe preso più del 15%. La batosta è tosta ma feconda: il seme del renzismo è ormai piantato. Un annetto ancora ed ecco la chiamata alla Farnesina.

MINISTRO A SORPRESA  Non fu Renzi, a dire il vero, a volerlo. Il rottamatore-rottamato aveva tutt’altro in mente per la Farnesina: donne del Pd, preferibilmente. Non lo aveva neppure messo nella rosa dei nomi, piegandosi poi alle preferenze di Napolitano. Sì dibatté a lungo della mancanza totale di esperienza e di appeal specifici. Come ministro, si diceva, non brilla. Ma neppure sfigura. Fa quello che deve, a seconda del mandato. Tipo chiamare i Marò nel primo giorno d’incarico (“auspico soluzione rapida”) o fare la voce grossa, con scarsi risultati, sul caso Regeni. Raramente esce dal seminato e quando succede, tipo in occasione della scelta di astenersi in sede Unesco in occasione della votazione negazionista contro Israele, non è mai su sua iniziativa (“l’Italia ha sempre fatto così”). Idem dopo l’intervista del febbraio 2015 nella quale anticipava che “se necessario, l’Italia sarà pronta a combattere in Libia contro l’Isis”, quando il governo meditava ancora di farlo attraverso i Servizi, senza informare preventivamente il Parlamento. Con Trump candidato prevede “conseguenze enormi, non vincerà”. Con Trump presidente dice “collaboriamo in amicizia”.

IL FATTORE X E L’AGENDA – Ma è davvero così insipido il signor Gentiloni? Dopo l’era geologica degli imprenditori scesi in campo, dei tecnici alla sbaraglio, dei rottamatori auto-rottamati non si esclude che il 62enne d’esperienza, alle prese con una fortuita e incalcolata chance di scrivere un pezzetto di Storia, possa sorprendere tutti. Interpretando pienamente il mandato di Mattarella per un governo di pieni poteri. Ora è l’uomo che conta e Gentiloni Silverj potrebbe anche giocarsi una partita personale, senza rassegnarsi a passare le carte in conto Renzi. Ecco allora l’agenda per lui, buttato giù dal letto per fare il premier. Sul fronte domestico c’è la legge elettorale, certo. Ma ci sono prima le urgenze: il decreto Mps, pronto ma da accelerare, le ceneri del decreto Madia parzialmente bocciato dalla consulta, la riforma della giustizia in sospensione, la questione dei livelli di assistenza in Sanità. La questione dei terremotati. Sul fronte internazionale, dove Gentiloni vanta ormai una provata esperienza, c’è il braccio di ferro con l’Europa sull’immigrazione (giovedì il consiglio europeo) e poi una sfilza di impegni internazionali (a fine marzo la commemorazione dei Trattati a Rama) utili a ridisegnare il ruolo dell’Italia.

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