Da mercoledì 5 ottobre sino a domenica 9, per la prima volta in Italia, a Roma, nella Sala Spazio D del Maxxi è stata organizzata una mostra fotografica dal titolo: Nome in codice: Caesar. Detenuti siriani vittime di tortura. Gli organizzatori sono: Amnesty International (sezione italiana), Unimed, Focsiv, Un ponte per, Articolo 21 e Fnsi, nei cui locali si terrà il 4 ottobre alle ore 11 anche una conferenza stampa alla presenza di giornalisti e di coloro che si battono contro la tortura.

Nel corso della conferenza stampa sarà illustrato, inoltre, il significato della mostra e il lavoro di Caesar, e la sua collezione di fotografie dei misfatti del regime, una documentazione imponente dei crimini contro l’umanità commessi nelle carceri siriane da 2011 e che serviranno come prove quando Bashar al-Assad sarà chiamato a rispondere davanti al Tribunale criminale internazionale per aver ucciso o fatto uccidere e torturato migliaia di cittadini siriani.

In diverse occasioni ho documentato questa barbarie e avevo voluto in una collana che dirigo presso l’editore Castelvecchi, Diwan, la traduzione del libro La conchiglia del siriano Mustafa Khalifa, in cui l’autore racconta dei suoi dodici anni passati nella prigione del padre di Bashar, Hafez, la prigione di Tadmor, situata nel deserto siriano vicino a Palmyra.

Il libro narra le vicende di un arabo scambiato erroneamente per un Fratello Musulmano e delle torture a cui è sottoposto in questa prigione dove il tempo non conta. Il protagonista non può scrivere perché in prigione non c’è né carta né penne, allora Khalifa inizia a esercitarsi con una scrittura della memoria, ricorda tutto come altri detenuti che imparano a memoria i nomi di altri disgraziati caduti nelle mani della polizia carceraria di Hafez.

Ho voluto richiamare le azioni compiute da padre e figlio per mettere in evidenza la continuità e la ferocia che caratterizza questa famiglia. Anche Ban Ki-moon ha condannato con parole severe le atrocità del regime ad Aleppo dove si sta giocando una partita molto importante per il regime che controlla la parte ovest della città e assedia quella est. Ormai è un anno dell’intervento russo in appoggio a Bashar Al–Assad, le bombe degli aerei di Putin hanno colpito postazioni jihadiste e dei ribelli siriani senza risparmiare la popolazione civile.

A tutti è chiaro che la posta in gioco è molto importante e questo spiega la macelleria sociale che l’esercito russo e quello siriano stanno ponendo in essere. L’accordo tra russi e americani per un cessate il fuoco e per far passare gli aiuti umanitari non ha funzionato per l’opposizione dell’esercito siriano che si attesta su una tattica di terrorizzare la popolazione civile e di continuarla a bombardare.

Anche le forze jihadiste anti Bashar fanno di tutto perché non si formi un fronte russo-americano contro di loro. In questo quadro confuso dove pochi elementi sono chiari, si inserisce il raid americano contro l’esercito siriano che lascia per terra 62 soldati. Si tratta di un errore, come sostiene Washington, o di una provocazione come dicono i russi? Tutto si è bloccato con conseguenze evidenti: la popolazione civile è sull’orlo di una crisi umanitaria senza ritorno. E’ difficile poter dire come andrà a finire.

La mostra non è certo la soluzione di questa intrigata vicenda, essa vuole contribuire alla sensibilizzazione di un’opinione pubblica sempre più distratta verso il malessere che sta attraversando la società, senza dimenticare la ferma opposizione ai metodi di governo che fanno uso della tortura e della pena di morte.

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