Un anno fa, “l’effetto Aylan”. Il bimbo siriano veniva restituito cadavere dal mare che lo aveva inghiottito mentre con la famiglia cercava di raggiungere la Grecia, Angela Merkel apriva le porte ai migranti e firmava con il presidente francese François Hollande un comunicato congiunto per affermare che l’Europa “deve ritrovare i suoi valori” e impedire che un bambino di tre anni anni in fuga da una guerra perda la vita annegando. Stando ai numeri delle vittime del mare, però, non è cambiato granché, anche se è indubbia una maggiore presenza di navi da salvataggio nel Mediterraneo, grazie allo sforzo di ong e privati. I dati dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni stimano, per difetto, che nella sola traversata lungo il Mediterraneo Centrale siano morte 2.726 persone tre gennaio e luglio, circa 500 in più rispetto allo scorso anno. In media, non arriva a destinazione un migrante ogni 42, mentre lo scorso anno era uno ogni 52.

L’unico vero effetto ottenuto dall’Ue “post-Aylan” è stato chiudere la rotta che dalle spiagge di città turche come Bodrum, dov’era stato ritrovato il corpo del bambino, portava sulle isole greche. “Si è passati da 4mila arrivi al giorno pre accordo Ue-Turchia, ai 100-120 arrivi giornalieri di oggi”, ricorda Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni. I 163 mila migranti sbarcati tra giugno e aprile, prima dell’introduzione del Trattato firmato da Ue e Turchia, superano di gran lunga i 116 mila arrivi dal Mediterraneo centrale tra gennaio e agosto. Ma gli accordi tra Ankara e Bruxelles non hanno potuto ridurre le morti in mare, visto che quella tratta pesa poco sul numero delle vittime (386 da gennaio a luglio).

Si muore tra la Libia e l’Italia – La rotta più pericolosa, ormai da anni, è quella che dalla Libia conduce all’Italia. Tra i 300 e i 400 chilometri percorsi, in dieci anni, da imbarcazioni sempre più malridotte. Questa è la prima tra le ragioni che portano così tanti migranti a morire in mare. “Dieci anni fa i salvataggi venivano fatti a 10-15 miglia dalle coste di Lampedusa”, ricorda Di Giacomo. Un altro mondo rispetto ad oggi, dove spesso le imbarcazioni – soprattutto delle ong – sono costrette ad intervenire a 20 miglia dalle coste libiche. A questo si aggiunge un aumento di un’altra tra le rotte più pericolose del Mediterraneo, che porta in Italia dall’Egitto. Lo scorso anno gli arrivi da quelle coste erano stati 200, in sette mesi di 2016 sono stati 2mila. Eppure rispetto allo scorso anno, il numero di arrivi nel complesso non è aumentato: si stima che anche il 2016 si chiuda con un milione di migranti entrati in Europa.

Barche grandi, inadatte ad andare per mare – Il 2016 ancor più del 2015 ha vissuto di ondate di sbarchi. L’ultima, è quella che ha portato 13mila persone a toccare le sponde italiane nel giro quattro giorni. “Arrivi così massicci rendono più difficili gli interventi”, commenta Di Giacomo. È una buona notizia, quindi, che queste ore convulse non abbiano provocato grandi naufragi. E di questo vanno ringraziati prima il caso e in secondo luogo i gommoni tubolari su cui si viaggia. Barche scadenti, che imbarcano subito acqua, ma che per quanto possano essere stipate portano al massimo 150 persone. Nulla a confronto con i pescherecci, le vere carrette del mare. La settimana del 28 maggio, in cui sono arrivati sempre 13 mila migranti, i morti sono stati circa 800. Le navi in cui erano costretti a viaggiare i migranti, oltre 800 alla volta, non erano in grado di raggiungere l’Italia: “Evidentemente qualche gruppo di trafficanti libici aveva avuto accesso ad una qualche rimessa”, ragiona Di Giacomo. Infatti dalle coste di Zuwara, Sabratah, Khums salpavano pescherecci inagibili, in un caso persino senza motore: “Quello non è stato un incidente – commenta Di Giacomo – ma un omicidio: i trafficanti li hanno mandati a morire”.

Non solo i naufragi – In mare non si muore solo annegati. È del 22 luglio il caso di cinque donne nigeriane asfissiate durante la traversata. E in quel caso non si trattava nemmeno di un peschereccio, bensì di un gommone. Le migranti hanno avuto la sfortuna di trovarsi vicine al motore, nel punto più basso della barca. Al momento di fare rifornimento, parte della benzina si è mescolata con l’acqua di mare che stagnava tra i piedi dei passeggeri. Il sole, l’assenza di acqua, le percosse subite prima di partire hanno fatto il resto. In media, sono peggiorate le condizioni fisiche di chi prende il mare. Il motivo è che milizie e trafficanti, in Libia, sono diventati più violenti.

Libia, migranti costretti a partire per l’Italia – I migranti, spesso, sono costretti a partire dalle milizie, a forza. Secondo i dati raccolti dall’Oim, spiega Di Giacomo, oltre la metà dei profughi arrivati in Italia per motivi economici non aveva il progetto di lasciare l’Africa. Spesso si tratta di uomini dell’Africa Subsahariana, la regione di provenienza aumentata in modo più sensibile negli ultimi dodici mesi, che si trovavano in Libia per cercare un lavoro. A conferma di questo dato, aggiunge di Giacomo, ci sono le 60mila registrazioni di profughi subsahariani che dalla Libia sono tornati al centro dell’Oim di Niamey, in Niger, uno degli snodi principali della rotta. E il deserto è ancora più pericoloso del Mediterraneo.

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