Lo scorso novembre ho pubblicato sul blog un post su Tony Blair e l’uso della menzogna politica. Le mie considerazioni erano rivolte al comportamento di Tony Blair a proposito della guerra in Iraq e prima ancora delle conclusioni del rapporto Chilcot, mettevo in evidenza come le decisioni dell’ex premier inglese e del suo caro amico Georges W. Bush avessero procurato migliaia di morti tra la popolazione civile (si stima 150.000 ma i dati non sono aggiornati dal 2009), tra i militari in Iraq e favorito la nascita dell’Isis.

L’indagine di Chilcot, iniziata nel 2009 e voluta dall’ex premier Gordon Brown, ha valutato il comportamento inglese all’occasione della guerra voluta dagli americani contro Saddam Hussein, sottolineando che le affermazioni di Blair a proposito del possesso di armi di distruzione di massa da parte dell’Iraq erano senza fondamento e pretestuose per giustificare la sudditanza alla follia americana e del suo presidente.

Gli Usa inoltre sottovalutarono le conseguenze del conflitto, fallirono nel gestire la ritirata delle truppe e fra gli altri errori vi fu quello di smantellare l’esercito iracheno senza avere alcuna prospettiva o strategia. Ho voluto riassumere alcune conclusioni del rapporto Chilcot anche se la ricerca scientifica aveva già fatto giustizia di tutti i tentativi di depistaggio che Blair da una parte e gli americani dall’altra avevano messo in atto.

Il vero problema di oggi, però, è quello di sapere se nei casi come quelli di Blair e Bush, bisogna ricorrere alla Corte penale internazionale per crimini di guerra. Vi è un problema politico e uno più strettamente giuridico.

Iniziamo dal primo e da una affermazione di Blair. “Quello che non posso fare – dice l’ex primo ministro – è quello che non farò mai, è di riconoscere che noi abbiamo preso una cattiva decisione a proposito della guerra in Iraq”. Bene, di fronte a tali affermazioni, la scelta di tradurlo davanti alla Corte sarebbe un atto a dimostrazione che tale istituto non funziona solo per qualche dittatore di un qualsiasi Stato africano, ma può funzionare anche per l’illuminata classe politica occidentale. Poi vi sono gli aspetti strettamente giuridici. Senza entrare in una discussione tecnica, va detto che secondo alcuni giuristi “la competenza della Corte penale internazionale è complementare e si esercita se l’azione interna non è iniziata” (La Matinale 9/7 2016). C’è da sperare che la Corte saprà andare avanti dimostrando che la giustizia è un’esigenza internazionale e che non vi sono stati uomini di Stato che possono godere di favori e privilegi rispetto ad altri.

Rimane un altro problema che non può essere risolto dallo stato d’animo triste e dalla contrizione con i quali Tony Blair si è presentato davanti alla televisione per parlare agli inglesi. Il problema delle scuse che un paese e un governo dovrebbero a un popolo, quello iracheno, massacrato dalla follia degli Stati civilizzati.

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