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La menzogna è uno straordinario strumento di persuasione a cui spesso la politica fa ricorso. La letteratura è piena di esempi, ma in questo post mi voglio soffermare sulle dichiarazioni di Tony Blair a proposito della guerra in Iraq e la caduta di Saddam Hussein.

A proposito di guerre e di menzogne desidero ricordare fra le altre cose, la guerra del Vietnam e l’azione dell’amministrazione McNamara che nel 1967 fece redigere quarantasette volumi ad una commissione che ebbe il compito di raccontare la storia del processo decisionale americano sulla politica in Vietnam con lo scopo, grazie alle menzogne e agli inganni di coprire la realtà sulla inutilità di quella guerra, spiegando al grande pubblico che nonostante la sconfitta, l’America restava una grande potenza. Hanna Arendt fece una approfondita analisi di quei volumi più noti col nome Pentagon Papers.

Ma veniamo all’oggetto di questo post: le dichiarazioni di Tony Blair sulla guerra del 2003. “Posso dire che mi scuso per l’aver ricevuto delle informazioni sbagliate dall’intelligence, anche se Saddam usava armi chimiche di massa contro la sua popolazione”. Questo è l’esordio dell’intervista che già di per sé reca delle contraddizioni: se le informazioni erano sbagliate, in che modo si può affermare che le cause dell’invasione (ovvero le armi di distruzione di massa possedute da Saddam) fossero veritiere? Blair cerca di minimizzare il suo ruolo e soprattutto di nascondere che l’invasione dell’Iraq era stata programmata con gli americani.

Vi è un altro episodio che sostiene questa ipotesi. Vi ricordate Colin Powell quando annunciò alla televisione davanti a milioni di spettatori che Saddam possedeva scorte consistenti di antrace e per rendere più veritiera la sua comparsata mostrò col braccio alzato una boccettina piena di polvere bianca, dicendo che si trattava di antrace, mentre probabilmente era semplice borotalco.

Oggi tutta questa vicenda che è costata la vita a migliaia di soldati e civili iracheni, americani e inglesi, è oggetto di una commissione d’inchiesta presieduta da Sir Chilcot e voluta nel 2009 da Gordon Brown. Le scuse di Blair sfiorano anche una sua certa responsabilità per la nascita dell’Isis. Il gruppo, infatti, affonda le proprie radici nell’insurrezione che sconvolge l’Iraq post-2003.

Dal 2004 è chiamato semplicemente al-Qaida in Iraq (Aqi), visto che l’ex leader del gruppo, Abu Musab al- Zarqawi, giura fedeltà a Osama ben Laden. La denominazione di Stato Islamico di Iraq e al-Sham (Isis) viene assunta nel gennaio-febbraio 2013. Sia Aq sia Is considerano la restaurazione del califfato come il fine ultimo della loro azione. Se per al-Qaida, però, questo rimane un obiettivo di lungo periodo, per il sedicente Stato Islamico è realizzabile “qui e ora”. È in questo contesto che va letta la scelta di proclamare la rinascita del califfato nel 2014, così come l’invito lanciato ai fedeli a compiere una nuova egira verso lo “Stato islamico”. Posizioni, queste, totalmente osteggiate da al-Qaida, che ha contestato apertamente tanto la legittimità della proclamazione, quanto il profilo del “nuovo califfo”.

La difesa di Blair appare debole soprattutto quando nel soffermarsi sulla nascita dell’Isis  chiama in causa le primavere arabe che avrebbero creato il brodo di coltura da cui sono partiti i terroristi. Questa lettura degli avvenimenti è inaccettabile perché riduce un vasto sommovimento che ha coinvolto e sta attraversando il mondo arabo dal 2011 ad un problema statistico su quanti terroristi avrebbe prodotto perdendo di vista  la complessità del fenomeno.

Probabilmente appare esagerato appioppare a Blair la connotazione di criminale di guerra come qualche lettore dei giornali inglesi ha fatto, ma non mi sembra esagerato scavare nel sottobosco delle menzogne che ci hanno propinato per cercare di ristabilire la verità. A quando i pentimenti di Sarkozy e Cameroon a proposito della Libia?

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