di Angelo Mazzoleni

Si può dire di tutto del Presidente del Consiglio ma non che non sia intelligente e furbo. E’ perciò parso incomprensibile a molti osservatori la personalizzazione del referendum costituzionale, ma anche il disinteresse mostrato per le elezioni amministrative soprattutto a Roma dove è stato presentato un candidato che appare debole nella sfida contro la favorita Virginia Raggi del M5s.

D’altro canto, il secondo contraente del patto del Nazareno, Berlusconi, si è dato molto da fare, suscitando le ire di Salvini, per far perdere a Roma il centrodestra che si presenta diviso.

Le ragioni di questa commedia all’italiana, sulla pelle della capitale, non dipendono solo dall’intento di favorire la vittoria di Roberto Giachetti, in cambio, come hanno ipotizzato alcuni media, di una tutela degli interessi aziendali del Cavaliere, quanto, ritengo, da un calcolo politico, di più ampia portata strategica, che mira, a mio parere, ad arginare e fermare definitivamente l’avanzata del M5s.

In altri termini, l’ipotesi avanzata da Paola Taverna del M5s, su cui Renzi, non a caso, si è preoccupato di ironizzare, di un “complotto” per far vincere a Roma il M5s, non appare affatto peregrina: si scarica la patata bollente di Roma sulle spalle dei 5s contando poi sul fatto, stante le difficoltà anche debitorie della capitale, di delegittimarne poi l’azione e capacità di governo. A Renzi dunque converrebbe perdere la battaglia a Roma per poi vincere le elezioni politiche nazionali, quelle che, per lui, davvero contano.

La personalizzazione del referendum costituzionale, sempre dando per scontato che Renzi non abbia una volontà autolesionistica si spiega a mio parere con un probabile calcolo politico di più ampio respiro. Renzi sa far benissimo di conto e, personalizzando il conflitto, anziché porlo sul piano del merito e dei contenuti, sapeva bene di rischiare grosso (a meno che la sua arroganza non ne abbia accecato la visione). Perché dunque avrebbe fatto questa scelta controproducente per lui?

Sfidando apertamente le opposizioni e mettendo sul piatto le sue dimissioni, era del tutto evidente che avrebbe favorito la coesione di tutti i suoi oppositori politici. Basta fare la somma numerica del loro bacino elettorale, per capire che prevarranno quasi sicuramente i no. La spiegazione sta nel fatto che il premier sa anche bene che, in questo caso, verrebbe meno anche la nuova legge elettorale che attualmente finisce col favorire il M5s.

Bocciata col referendum anche la nuova legge, se ne dovrebbe fare una nuova, prima di andare al voto. E’ del tutto logico pensare, stando ai numeri in Parlamento, che Renzi, col supporto di Verdini e, questa volta, di Berlusconi, se ne costruirebbero un’altra su misura che sfavorirebbe il M5s. Strada spianata dunque verso la prospettiva del suo nuovo partito della nazione senza avere più tra i piedi il fastidio della imbelle sinistra del Pd. Come dire cogliere due piccioni con una fava.

Faccio notare, a suffragio di questa mia ipotesi che potrebbe apparire strampalata che anche invertendo l’ordine dei fattori del mio ragionamento il risultato non cambia: se invece Renzi dovesse vincere Roma, avrebbe meno armi in mano, per tentare di delegittimare le capacità di governo del M5s, il suo unico avversario pericoloso. Per di più, continuerebbe ad avere tra i piedi quel sassolino fastidioso dei gufi di sinistra, che cerca da tempo, invano, di rottamare. Ma, soprattutto, con la vittoria dei sì e l’approvazione della nuova legge elettorale, favorevole al M5s, rischierebbe molto di più, alla scadenza naturale del suo mandato, alle prossime elezioni politiche, vista la progressiva perdita di consensi attualmente in atto.

Alla scadenza naturale della legislatura, con un potere ormai logorato anche dai dati impietosi sui risultati delle sue riforme, con Pd probabilmente lacerato e più debole e un M5s più forte, soprattutto con gli elettori italiani ancor più disillusi è realistico prevedere una sua sconfitta elettorale.

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