A un anno dall’entrata in vigore della norma, la possibilità di chiedere il versamento del Tfr in busta paga si conferma un flop. La Fondazione dei Consulenti del lavoro ha calcolato che meno dell’1% degli interessati (dodici milioni di lavoratori del settore privato in servizio da almeno sei mesi) ha chiesto all’azienda di anticipare la liquidazione nel proprio stipendio mensile. Dallo studio realizzato su un campione di circa 900mila lavoratori subordinati è emerso che solo lo 0,74% di essi, in tutto 6.712 persone, si è avvalso dell’opportunità di ricevere il trattamento di fine rapporto a rate prima della fine della vita lavorativa.

Il motivo, lo stesso emerso a cinque mesi dall’entrata in vigore della norma, è che l’imposizione fiscale è troppo penalizzante per il lavoratore: non c’è infatti un’aliquota agevolata e sulle somme ricevute in busta paga si deve versare l’Irpef sulla base del proprio scaglione di reddito. La maggioranza dei dipendenti intervistati (il 52%) ha affermato di non aver chiesto l’anticipazione proprio perché si sarebbe tradotta in un salasso fiscale. Il 18% ritiene che sia troppo dannoso ai fini dell’ammontare della futura pensione rinunciare a versare il Tfr in un fondo integrativo. Il 7% dichiara di non avere ancora valutato adeguatamente la misura, mentre il 22% non vuole rinunciare al “tesoretto” di fine carriera.

La legge fortemente voluta dal premier Matteo Renzi, che l’aveva annunciata come chance per “rilanciare i consumi”, prevede la possibilità di chiedere l’anticipazione del Tfr in busta paga fino al giugno 2018.

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