BRUXELLES – Dodici agenti dell’antiterrorismo americano sono stati inviati dal Dipartimento di Stato per affiancare i loro colleghi belgi e francesi, in particolare nel delicato settore nucleare, obiettivo dei progetti jihadisti. Le due centrali atomiche belghe (a Doel e a Tihange) sfruttano tecnologie Westinghouse Electric e una volta all’anno, per le manutenzioni sistemiche, le verifiche tecniche e i controlli di sicurezza, arrivano gli esperti dagli Stati Uniti, senza grande clamore. Dai loro test dipende l’efficacia della protezione dei siti nucleari. Il timore è che quelli belgi siano vulnerabili. Secondo Gilles de Kerkhove, coordinatore dell’Unione europea per la lotta contro il terrorismo, il rischio non è remoto: “Non sarei stupito se in futuro il settore nucleare diventasse il bersaglio dei cyberattacchi”. C’è già un precedente: “Ci fu grande stupore – ricorda de Kerkhove in un’intervista al quotidiano La Libre Belgique (pagina 12-13, 26 marzo 2016) – quando si venne a sapere che le comunicazioni di Belgacom erano state intercettate da un servizio straniero. Ciò indusse il governo di allora a stanziare 10 milioni di Euro per la cyber sicurezza. Penso che sia un’urgenza. Il mio timore è che le nuove tecnologie permettano ad un individuo isolato di commettere un attentato di grande ampiezza”.

Timore confermato dai files trovati nei covi dei terroristi durante le perquisizioni dei giorni scorsi. E dall’assassinio di un’agente della sicurezza nucleare, trovato ammazzato giovedì scorso nei dintorni di Charleroi. Notizia che è stata minimizzata dalle autorità belghe. Non, tuttavia, dagli americani, per i quali nulla avviene a caso. Il direttore del programma di ricerche e sviluppo nucleare belgi era stato spiato qualche mese fa – con l’ausilio di una telecamera nascosta davanti alla sua abitazione – dai fratelli Ibrahim e Khalid al-Bakraoui, due dei tre kamikaze di Bruxelles: “Non rimarrei stupito se tra cinque anni ci saranno dei tentativi di utilizzare Internet per commettere degli attentati – paventa de Kerkhove – ed entrare nella Scada (Supervisory Control and Data Acquisition, ndr.), ossia il centro di gestione di una centrale nucleare di una diga, di un centro del controllo aereo, di un quadro comandi delle ferrovie”.

Lo Stato Islamico ha dimostrato di possedere un’enorme raffinatezza nell’utilizzo delle reti sociali. Ci sono dei giovani geek che sanno benissimo come operare, appartengono ad una generazione nata con il web. Prima o poi qualcuno, dotato di competenze ad altissimo livello, sarà in grado di penetrare in un sistema, anche se protetto. Non solo. Incombono altre minacce che non devono essere sottovalutate: la miniaturizzazione degli esplosivi, o, peggio, la biotecnologia. Al-Qaeda diffonde un magazine intitolato Inspire. Nei primi numeri c’era un articolo in cui si spiegava, per filo e per segno, come realizzare una bomba nella cucina della madre. Non è difficile prevedere degli scenari in cui si possono ipotizzare ben altri rischi. Sarà possibile, per esempio, tramite le biotecnologie di sintesi, manipolare dei virus del tipo di Ebola. La Commissione europea non a caso intende rafforzare la difesa degli Stati contro i cyberattacchi.

A proposito dell’agente di sicurezza ucciso a Charleroi: le autorità hanno negato che vi fosse un coinvolgimento jihadista, declassando l’episodio nella categoria dei “fatti diversi”, ossia dei delitti comuni. In realtà, le indagini sono piuttosto serrate e non escludono ancora nessuna pista che riconduca al terrorismo. Subito dopo gli attentati di Bruxelles nelle due centrali nucleari sono state adottate particolari misure di sicurezza, rese necessarie dall’evoluzione delle indagini che hanno portato alla luce una rete jihadista “tentacolare” tra Francia e Belgio, radicata nel tempo. L’uomo ferito e arrestato venerdì pomeriggio a Bruxelles, davanti alla fermata di un tram nel quartiere di Schaerbeek, era infatti una vecchia conoscenza del radicalismo islamico: Abderahmane Ameroud, un individuo di nazionalità francese (ma chiare origini algerine) condannato dal tribunale di Parigi a sette anni di galera per concorso in omicidio del comandante afgano Ahmad Shah Massoud, leggendario nemico dei talibani, detto il “Leone del Panjshir”. Massoud, uno dei più feroci avversari di al-Qaeda, aveva 48 anni: rimase vittima di un attentato suicida il 9 settembre del 2001. Due tunisini si finsero giornalisti di un tv marocchina. Li aveva reclutati a Bruxelles l’Emiro Sayf Allah Ben Hassine, fondatore e leader dell’organizzazione salafita tunisina Ansar al-Sharia, vicina ad al-Qaeda.

Ameroud, un uomo di una quarantina di anni, era stato in contatto coi due falsi giornalisti tunisini, ai quali aveva dato un supporto logistico. Scontata la pena si era prudentemente trasferito a Bruxelles, ritenendo la capitale belga un posto dove poter riannodare i vecchi legami senza essere sottoposto alla vigilanza più severa dell’intelligence francese. Il suo nome è saltato fuori dopo l’arresto, in Francia, a Boulogne-Billancourt di Reda Kriket. Gli inquirenti sono risaliti alla sua abitazione di Argenteuil (banlieue sud-ovest di Parigi) e qui hanno scoperto un piccolo arsenale. Il trentaquattrenne Kriket, rapinatore patentato, un delinquente violento e senza scrupoli, era finito nelle spire del fondamentalismo senza però mai abbandonare il milieu criminale. Negli ultimi tempi faceva parte di un gruppo di ladri che permettevano di finanziare le partenze per la Siria.

E’ interessante il suo progressivo coinvolgimento nella jihad. Dopo uno dei tanti soggiorni in prigione, nel 2011 parte per il Belgio. Un’inchiesta belga evidenzia come a poco a poco Kriket acquisisca un ruolo nella nebulosa radicale della capitale belga. Personaggio di riferimento è Khalid Zerkani, alla sbarra nel 2015 per aver diretto un gruppo di una quindicina di combattenti verso la Siria: tra i quali, Abdelhamid Abaaoud, il futuro “cervello” degli attacchi di Parigi del maledetto venerdì 13 novembre. Chi è Zerkani? Un predicatore improvvisato. Carismatico: i suoi seguaci, lo chiamavano “Babbo Natale”. Sfruttando il suo ascendente, mette insieme una trentina di islamisti radicali e li incarica di reclutare e sostenere la partenza per la Siria tra i giovani di Molenbeek.

I reclutatori chiamavano Kriket “il Francese”, specializzato nei furti di gioielli, diceva di essere adepto della ghanima, secondo la quale era concesso il furto in tempo di guerra se si versa una parte del bottino alla causa e al radicalismo islamico. E tuttavia, la fama di Kriket non era delle migliori: lo temevamo, ed era considerato pericoloso, ma non per la sua radicalità, bensì perché si comportava da puro caid, un assassino senza fede né legge. Nel luglio del 2014, la giustizia belga lo condanna a dieci anni, anche per essere andato in Siria. Se la squaglia in Francia. Dove stava per realizzare un attentato, come ha dichiarato lo stesso ministro francese degli Interni, Bernard Cazeneuve, sventato in extremis. Con la sua cattura – e quella a Bruxelles di Ameroud – emerge l’esistenza di una rete terroristica in cui si intrecciano vecchie e nuove generazioni di jihadisti. Capaci di operare su più livelli. E puntare ad obiettivi sempre più ambiziosi. Come le centrali nucleari. E non solo.

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