L’economia italiana è più debole del previsto e la crescita sta rallentando. Lo scorso anno il Pil corretto per gli effetti di calendario è infatti aumentato dello 0,6%, stando ai dati flash diffusi venerdì dall’Istat. La variazione è dello 0,7% se si considerano i dati grezzi, cioè non depurati dall’effetto dei giorni lavorativi e delle fluttuazioni stagionali. Si tratta del primo segno più dopo tre anni di cali, ma la stima del governo contenuta nella nota di aggiornamento del Def, su cui è basata tutta la programmazione economica del governo, era di +0,9%. Mentre il premier Matteo Renzi lo scorso 27 dicembre aveva limato la stima a +0,8 per cento.

“Lo 0,7% che viene fuori dall’Istat è più basso della previsione del governo, avrei preferito vedere un decimale in più piuttosto che in meno”, ha commentato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, facendo riferimento al dato grezzo. “Ma come si sa i decimali contano poco, l’importante è la direzione di marcia che è di crescita, dopo tre anni di profonda recessione, che è confermata e rafforzata nel 2016″.

Strada in salita per la legge di Stabilità – In attesa del dato definitivo dell’istituto di statistica, che arriverà il prossimo 1 marzo, questo +0,6% complica il quadro in vista del verdetto definitivo sulla legge di Stabilità atteso per il prossimo maggio. Una crescita più debole comporta infatti un aumento dei cruciali rapporti debito/pil e deficit/pil. E proprio su quest’ultimo Renzi ha ingaggiato da mesi con la Commissione europea uno scontro che mira ad ottenere più flessibilità, cioè poter fare più deficit alla luce del fatto che Roma ha messo in campo alcune riforme strutturali, ha contribuito al fondo istituito dal piano Juncker per promuovere gli investimenti e, secondo Renzi, ha speso più di 3 miliardi per far fronte all’emergenza migranti. In questi giorni il premier, secondo La Stampa, sta studiando l’affondo finale: l’idea è quella di cancellare con un tratto di penna, a partire dal prossimo anno, le clausole di salvaguardia, cioè gli aumenti automatici dell’Iva e delle accise che a partire dal 2011 sono state inserite nelle manovre per assicurare a Bruxelles che avremmo “fatto i compiti”. Gli aumenti, infatti, entrano in vigore se l’esecutivo non riesce a mettere in atto tagli o aumenti di tasse per un valore corrispondente. Ora il progetto del governo è di abolire questa prassi, approfittando della riforma del bilancio prevista da due decreti approvati dal Consiglio dei ministri mercoledì, in base alla quale legge di Stabilità e ddl Bilancio saranno unificati in un unico provvedimento.

Nuovo botta e risposta con la Ue – Peccato che giovedì, secondo Repubblica, il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker per bocca di funzionari a lui vicini sia tornato a sbarrare la strada facendo sapere che non intende cambiare rotta perché ha giù “puntato tutto su crescita, investimenti e flessibilità, della quale l’Italia ha beneficiato più di tutti”. Una risposta all’intervento firmato il giorno prima, sempre sul quotidiano del gruppo De Benedetti, dal presidente del Consiglio, che era tornato ad attaccare la Ue sostenendo che “ha sbagliato strada” perché “l’austerity non basta”. Al di là delle schermaglie, scrive La Stampa, l’Europa è comunque pronta a negoziare, perché non ha alcun interesse ad arrivare a una rottura con Roma. “Una rissa con un grande paese così indebitato potrebbe avere effetti sistemici non desiderabili”, afferma un funzionario europeo citato dal quotidiano torinese.

Dunque il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan sta trattando con il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici per ottenere il via libera alla ex finanziaria senza dover effettuare una pesante manovra correttiva di qui a fine anno. “L’Italia non chiede flessibilità all’Europa, non chiede qualcosa: offre la volontà di dare una mano sapendo che se la politica economica di questi anni dobbiamo forse riflettere insieme. L’Europa si deve muovere insieme, ma si deve muovere”, ha ribadito Renzi venerdì al termine dell’incontro a Palazzo Chigi con il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz.

La frenata di trimestre in trimestre – Il 2015 si è chiuso con una frenata: nel quarto trimestre il prodotto interno lordo, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è aumentato dello 0,1% rispetto al trimestre precedente, +1% su base annua. Un dato inferiore alle previsioni dello stesso istituto di statistica, che lo dava a +0,2%, e dei principali analisti: il consensus raccolto da Bloomberg era di +0,3%. Il calo deriva da una diminuzione del valore aggiunto dell’industria, mentre sono aumentati quelli dell’agricoltura e dei servizi. Nello stesso periodo il Pil degli Stati Uniti e della Francia è aumentato dello 0,2% e quello del Regno Unito dello 0,5%, ricorda l’Istat. Il rallentamento è stato costante: +0,4% nel primo trimestre, +0,3% nel secondo, +0,2% nel terzo. L’istituto di statistica ricorda che il 2015 ha avuto tre giornate lavorative in più rispetto al 2014 e il quarto trimestre ne ha avute due in meno del precedente e una in più rispetto al quarto trimestre del 2014.

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