“Sono un ex bancario abituato a mettere il naso nei bilanci e provengo da una terra, l’Emilia Romagna, che paga un prezzo ambientale enorme alle società petrolifere”. Si presenta così Giovanni Paglia, deputato di Sel-Sinistra italiana, che quando ha saputo della partenza del fattoquotidiano.it per un reportage alle Tremiti minacciate dalle trivelle si è voluto unire alla spedizione: “Voglio vedere di prima persona un altro paradiso naturale minacciato dalle dissennate politiche del governo”.

E’ lui che scoperto, semplicemente navigando su Internet, lo stato patrimoniale non florido della Petroceltic international: la multinazionale irlandese a cui il ministero dello Sviluppo economico ha dato in concessione l’ispezione di 370 chilometri quadrati di mare per soli duemila euro all’anno. Il contenuto della sua scoperta si è trasformato in un’interrogazione parlamentare al ministro Federica Guidi che da oltre dieci giorni attende, per il momento invano, risposta. “Ennesima dimostrazione di quanto questo governo tenga in considerazione il Parlamento”, si sfoga. 

Ma cosa ha scoperchiato esattamente il deputato? : “Navigando sul sito della corporation, alla voce “notizie per gli investitori”, ho preso atto che l’azienda dichiara di essere sull’orlo del fallimento”.

Il 23 dicembre infatti, un giorno esatto dopo l’autorizzazione del Mise, viene pubblicato sul portale di Petroceltic un report sulla sua situazione economico-finanziaria. “E’ scritto nero su bianco – prosegue il parlamentare – che in virtù di qualche accordo con le banche la società petrolifera ha liquidità solo fino al 31 gennaio”.

Come oramai è risaputo, il ministro Guidi ha firmato le concessioni il giorno prima del varo della legge di Stabilità che, nel tentativo di fermare i referendum di regioni e comitati No Triv, fissava norme più stringenti per le società petrolifere. Peccato però che per quei decreti varrà la vecchia legge e cioè lo ‘Sblocca Italia’: la normativa che alla voce ricerca di idrocarburi, esautora regioni ed enti locali in nome dell’interesse nazionale.

La notizia si è subito diffusa fra i pochi residenti che abitano le Tremiti d’inverno e, fra lo sconcerto generale, Paglia ha rincarato la dose senza risparmiare critiche all’esecutivo: “Nonostante la forte opposizione dei cittadini, che solo pochi anni fa erano già riusciti a fermare le perforazioni, il governo ha deciso di andare avanti lo stesso. Ma lo ha fatto per due spicci, dando le concessioni a una società estera e senza neanche verificare se avesse i requisiti minimi per operare”.

Requisiti che, secondo l’esponente di Sel, non ci sono: “La società dichiara di avere un’esposizione verso le banche pari a 217 milioni di dollari e di avere liquidità per 28 milioni di dollari, di cui 24 in valuta estera non convertibile. Alla luce del fatto che il petrolio si commercializza in dollari mi chiedo con che razza di moneta questa azienda faccia affari”.

Sulla stessa pagina si legge che per far fronte alla situazione il mandato del consiglio di amministrazione è di cedere tutti gli asset compresi i diritti di esplorazione. “E quindi anche la concessione ottenuta alla Tremiti dal Mise”, puntualizza l’onorevole che si chiede in che mani si sia messo il governo: “Se Petroceltic dovesse partire con le ispezioni, che si fanno con la tecnica altamente impattante dell’air gun, sappiamo fin da subito che non avrà i soldi per ripianare eventuali danni ambientali”.

Ma secondo Paglia c’è di più perché l’autorizzazione arrivata dal dicastero guidato dalla Guidi contrasta con il decreto del presidente della Repubblica 484 del 1994 che disciplina modi e criteri con cui si possono rilasciare concessioni: “Secondo la legge, non solo bisogna avere i requisiti patrimoniali per operare, ma serve anche una adeguata dotazione di personale. Se uno va sul sito di Petroceltic Italia, controllata al 100 per cento dalla casa madre irlandese, si scopre che i dipendenti sono tre: un ingegnere, un geologo e un esperto di valutazioni ambientale più una serie di collaboratori attivabili alla bisogna. Un po’ poco per fare prospezioni in un’area di mare immensa”.

Ora, con il via libera della Consulta al referendum contro le trivelle, la parola passa ai cittadini. “Con il sì alla legge di Stabilità il governo era riuscito a eliminare cinque dei sei requisiti. Il sesto, sulla durata delle concessioni petrolifere, acquista un valore politico enorme e il risultato rappresenterà il giudizio degli italiani sulle politiche energetiche e ambientali del governo”, conclude Paglia. 

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