Hanno aspettato l’assemblea di Matteo Renzi con i parlamentari per ufficializzare l’addio, ma da tempo erano separati in casa. I deputati Alfredo D’Attorre, Carlo Galli e Vincenzo Folino non fanno più parte del Partito democratico. Finisce così la relazione di (poco) amore con la versione renziana del partito. “Stiamo celebrando un addio”, hanno dichiarato in conferenza stampa, “ma anche un nuovo inizio. Il 7 novembre insieme agli amici del Pd che hanno lasciato e agli amici di Sel, faremo una nuova proposta politica al teatro Quirino e comunicheremo la nascita di nuovi gruppi parlamentari”. Gli ex hanno poi distribuito un documento in cui spiegano le ragioni del loro passo: “La mutazione genetica del Pd, nato come forza centrale del centrosinistra italiano, è purtroppo ormai compiuta”.

A sinistra dei dem, i fuoriusciti e i delusi provano così a inventarsi qualcosa di nuovo. “Da lunedì saremo tutti insieme in un nuovo gruppo parlamentare con un nuovo nome. Non sarà una forza settaria, invitiamo a superare l’idea di ‘Cosa rossa’: sarà una forza di sinistra aperta”. In sala durante l’annuncio anche gli ex Pd Stefano Fassina, Corradino Mineo e Nicola Frantoianni (Sel). Assente ancora una volta Pippo Civati che ha lasciato il Partito democratico da tempo, ma che ha deciso per il momento di non unirsi al gruppo degli scontenti: “Va rispettata la sua scelta”, ha commentato D’Attorre, “di tenere per qualche mese un percorso autonomo. Sono convinto che i percorsi si uniranno nell’arco di qualche mese. Sabato accadrà un grande fatto politico. Fino a questo momento le uscite dal Pd sono sembrate una dispersione: da sabato si cambia”.

L’addio dei tre deputati non crea particolari problemi a Renzi a Montecitorio, dove infatti ha una solida maggioranza. Ma al tempo stesso riapre le ferite con una parte del partito che continua a criticare la linea del segretario. “Quando qualcuno decide di abbandonare una comunità politica”, ha commentato l’esponente della minoranza Pd Francesco Boccia, “è evidente che la colpa è di tutti. Le battaglie in un partito vanno fatte durante i congressi; oggi gli addii cominciano ad essere troppi e, pur non essendo d’accordo con questa scelta, una riflessione va fatta. E francamente non mi consola affatto veder arrivare mercenari che non hanno nulla a che vedere con la storia del Pd”.

Nel documento consegnato alla stampa al termine dell’annuncio, i tre deputati e alcuni degli ex del Pd attaccano le scelte del Partito e la linea renziana: “Nell’iter delle riforme si sono consumati strappi molto gravi: un ruolo del governo del tutto esorbitante che ha umiliato le prerogative del Parlamento, la sostituzione forzata nelle commissioni dei parlamentari dissenzienti, l’imposizione della fiducia sulla legge elettorale, il disinvolto uso del trasformismo parlamentare per piegare le posizioni critiche al Senato sulla riforma costituzionale”.

Il gruppo di delusi ha poi attaccato l’indirizzo delle nuove decisioni prese dai colleghi democratici: “I provvedimenti in materia di lavoro, scuola, welfare, fisco, indicano che il Pd vive ormai con fastidio il modello di società disegnato dalla Costituzione repubblicana. Alla centralità del lavoro si è sostituita quella dei profitti, al principio di eguaglianza la retorica della meritocrazia che legittima la crescita reale delle diseguaglianze, alla progressività della imposizione fiscale l’adozione del motto berlusconiano ‘meno tasse per tutti’, all’universalità dei diritti sociali il primato di una presunta efficienza che apre il campo ai tagli al welfare e a un maggior spazio ai privati in campo sanitario e previdenziale. La legge di stabilità attualmente in discussione si muove dentro questo solco e non stupisce che i maggiori apprezzamenti siano finora venuti dalle forze di centrodestra dentro e fuori la maggioranza di governo”.

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