Maurizio Lupi dovrebbe dimettersi domani mattina. È quello che si aspettano tutti, a Palazzo Chigi e ai vertici del Pd. Ma il condizionale è d’obbligo, vista la resistenza dimostrata dal ministro in questi giorni. Lupi ieri finisce di rispondere al question time a Montecitorio. E se ne va. Quasi contemporaneamente, Matteo Renzi entra in Aula, di soppiatto, evitando i giornalisti e neanche lo incontra. “Ho l’appoggio del governo”, ha detto. Ma l’evidenza plastica dei rapporti tra i due dice tutt’altro. Renzi vuole che il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti se ne vada. Lui non molla. Non ancora. Il premier non può chiedergli in maniera pubblica e diretta di dimettersi. Rischia la crisi di governo. Ma glielo dice e glielo fa dire: “Se vai avanti non ti copro”. Di più: “Guarda che se non te ne vai prima della mozione, ti faccio sfiduciare dal Parlamento”. L’altro mantiene la sua posizione. Pubblicamente: “Non ho fatto niente di male”. E soprattutto: “Riferirò in Parlamento”. Perché “è doveroso da parte mia”, come spiega anche ai colleghi di partito. Però, ora il punto non è più il “se” ma il “quando” Lupi cederà.

E’ in corso una prova di forza tra il presidente del consiglio e il ministro. Molto dipende da cosa c’è nelle carte e quando uscirà. E infatti, la giornata vira nel tardo pomeriggio: “Adesso pure i viaggi della moglie. Non è sostenibile”, spiegano a fine giornata i renziani di peso. E l’intervento in Aula si velocizza: dovrebbe essere calendarizzato per domani. Per turbo-Renzi è già passato troppo tempo, di fronte all’opinione pubblica.

Ma sono le immagini a raccontare meglio la giornata di ieri. Quelle della mattinata a Milano, alla Fiera Made Expo con Lupi fischiato dalla folla. “Non ho mai fatto pressioni per chiedere l’assunzione di mio figlio”. In mattinata, invece, Renzi fa un’informativa in Senato in vista del Consiglio europeo. Elegantissimo, versione presidente del Consiglio, non dice neanche una parola sulla questione Incalza. Passa qualche ora e la scena si sposta a Montecitorio. Lupi è sui banchi del governo. Accanto a lui c’è Alfano. Per il resto, sono praticamente vuoti. Nessun ministro di peso. Vuoti anche i banchi dei deputati Pd. Il ministro è già abbandonato. Le interrogazioni sono tutte variazioni sul tema dell’indagine che ha portato all’arresto di Incalza e al coinvolgimento delle strutture del ministero. Con una domanda esplicita: “Si dimette?”. Momenti di tensione all’inizio. Dopo le domande di Liuzzi dei Cinque Stelle, Lupi chiarisce la sua posizione: “Rispetto alle legittime richieste di chiarimenti, puntuali e doverosi, come si è visto anche nell’interrogazione, da parte di tutti i gruppi parlamentari, ritengo assolutamente doveroso, indispensabile e urgente che questo avvenga quanto prima in Parlamento”. I Cinque Stelle scandiscono “dimissioni”, lui fa un gesto del tipo “non ci penso proprio”. Quelli insistono. Giachetti espelle Sibilla. E il resto più o meno è prassi. Poi arriva Renzi. Accanto a lui si siede Maria Elena Boschi. I banchi del Pd si riempiono. Lupi se ne va, Alfano resta. In effetti è esattamente quello che potrebbe accadere. Ieri il ministro dell’Interno pubblicamente ha difeso il collega di partito. Ma in privato le posizioni sono già cambiate. Anche lui ha iniziato il lavorio ai fianchi.

“Maurizio non puoi rimanere in quel posto senza la fiducia del presidente del Consiglio”, gli vanno dicendo i colleghi di partito. Che nel frattempo trattano con i vertici del Pd: in ballo ci sono posti di Sottosegretari e quelli vacanti dei giudici della Consulta. Il ministero no: per un po’, almeno l’interim dovrebbe essere assunto da Luca Lotti o Graziano Delrio. Sembra solo questione di tempo. Poco tempo.

da il Fatto Quotidiano del 19 marzo 2015

 

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