“E’ come se in una famiglia la moglie spendesse milioni senza sapere se le spese sono coperte dal conto corrente che è controllato dal marito. Non penso che il bilancio familiare così possa funzionare”. Semplice ma efficace la similitudine messa a verbale dal consiglio dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Cnr di Pisa del 22 dicembre 2014, durante la seduta che ha sancito la voragine di bilancio ancora di difficile quantificazione.

Una storia intricata quella che coinvolge l’area della Ricerca pisana e che accende i riflettori su un ente nazionale dalla gestione complessa. Alcune criticità sull’organizzazione e la funzionalità del Consiglio Nazionale delle Ricerche emergono in una relazione della Corte dei Conti riferita alla gestione finanziaria del 2011 e del 2012. “A seguito dell’entrata in vigore del nuovo statuto (del Cnr, ndr), sono stati elaborati gli schemi dei nuovi regolamenti del personale e di amministrazione, finanza e contabilità previsti dal decreto di riordino, che tuttavia non risultano ancora definitivamente approvati”, sottolinea la magistratura contabile. Inoltre, malgrado gli sforzi di razionalizzazione “restano peraltro ancora frammentarie, negli esercizi 2011 e 2012, le informazioni concernenti l’andamento economico, patrimoniale e finanziario delle società partecipate, desumibili solo in parte dai quadri contenuti nella relazione del Presidente allegata al conto consuntivo, e i loro riflessi sul bilancio dell’ente di cui manca qualsiasi riferimento nella nota integrativa”.

Le cose non vanno meglio nelle rilevazioni a campione in materia di trasparenza effettuate dall’Organismo indipendente di valutazione: nella sua ultima rilevazione, non effettuata su tutti gli istituti che compongono il mosaico del Cnr, la griglia registra diverse criticità e dati mancanti o non aggiornati.

Nel verbale del consiglio dell’Istituto di Fisiologia Clinica di Pisa emerge in tutta la sua drammaticità il buco nelle casse dell’ente e la difformità tra l’organizzazione amministrativa adottata e quanto invece previsto dal regolamento. “La precedente direzione aveva infatti previsto che al segretario amministrativo competessero funzioni limitate all’erogazione delle spese, alle missioni, ai contratti con il personale”, mentre erano accentrate nella persona di Marco Borbotti, posto alle dirette dipendenze del direttore dell’Ifc, “le funzioni di gestione delle risorse in entrata, ovvero la loro acquisizione, l’accertamento contabile a fronte dei relativi titoli giuridici (contratti, convenzioni ed in generale atti di assegnazione di risorse), la stipula delle convenzioni passive sulla cui base venivano assunti gli impegni da parte dei finanziatori dei progetti di ricerca, la riscossione delle entrate mediante l’emissione delle reversali”.

In parole povere, con tale sistema organizzativo, si spendeva senza sapere quanto effettivamente c’era in cassa. Visto dall’esterno assomiglia ad una sorta di limbo in cui risulta complicato discernere ruoli, responsabilità, criticità, eventuali omissioni ed illeciti. Un sistema efficace: l’ex-dipendente finito nell’occhio del ciclone creava sponsorizzazioni inesistenti in favore della miriade di progetti in cui l’istituto è coinvolto. Era possibile ottenere anticipi di cassa dal Cnr, che però nessuno rimborserà mai, perché le convenzioni semplicemente non esistono. L’autonomia di cui godeva l’ex responsabile dell’ufficio contratti e acquisizione risorse, licenziato perché in possesso di un titolo di studio falso, ha dell’incredibile: oltre a creare un buco di bilancio di difficile definizione, ha “dopato” le performances dell’Istituto in termini di produttività e progettualità.

Il Sistema sanitario italiano non è nuovo a casi del genere. Il report “Corruzione e sprechi in sanità” realizzato negli anni scorsi realizzato da Transparency International Italia e Centro Ricerche e Studi su Sicurezza e Criminalità, sottolinea come “secondo le più recenti stime sulla corruzione in sanità, il tasso medio di corruzione e frode in sanità è del 5,59%, con un intervallo che varia tra il 3,29 e il 10% (Leys e Button 2013). Per la sanità italiana, che vale circa 110 miliardi di euro annuo, questo si tradurrebbe in circa 6 miliardi di euro all’anno sottratti alle cure per i malati”. Gli studiosi mettono in evidenza quei fattori che favoriscono la corruzione e l’illegalità nel settore sanitario: tra questi l’incertezza/debolezza del quadro normativo, la complessità organizzativa, la lottizzazione politica, la questione morale/senso civico, la deresponsabilizzazione, l’inefficacia dei controlli, l’assenza di trasparenza. Così alcuni di questi fattori sembrano tornare anche nel caso pisano: la moltiplicazione dei centri decisionali e di spesa del Cnr che a livello nazionale ne possiede circa un centinaio, produce una proliferazione di atti amministrativi a livelli decentrati che rischiano di sfuggire a qualunque controllo.

In attesa della fine del lavoro della Procura di Pisa e delle inchieste interne del Cnr resta la preoccupazione per il futuro dei progetti di ricerca e dei giovani ricercatori non stabilizzati. A pagarne le spese rischia di essere l’anello più debole della catena.

Articolo Precedente

Università, causa tagli la Costituzione non s’insegna più. Neppure a casa di Bobbio

next
Articolo Successivo

Università islamica Lecce, al via agraria e teologia. “Soldi da Opec e banche arabe”

next