Dopo la diffusione dei dati Istat sull’andamento dell’economia, Moody’s ha tagliato ancora le stime di crescita per l’Italia. Quest’anno, scrive l’agenzia di rating in un report pubblicato lunedì, il Prodotto interno lordo si contrarrà dello 0,1% invece che salire dello 0,5% come previsto in precedenza. Recessione conclamata, dunque, e nessun recupero atteso nel secondo semestre. Con conseguenze pesanti sulle tanto invocate riforme: “Condizioni macroeconomiche più deboli complicano il passaggio e l’implementazione dell’agenda di riforme strutturali del governo Renzi”, scrivono gli analisti. E sembra di risentire le parole di Mario Draghi sulla necessità che i Paesi europei “cedano sovranità” alla Ue anche su questo fronte. L’Italia infatti, sottolinea Moody’s, “è andata a rilento sulle riforme strutturali rispetto ad altri paesi della periferia”, in particolare Grecia, Spagna e Portogallo, “e la popolarità del governo non si è ancora tradotta nell’impulso politico a legiferare e implementarne un pacchetto più ampio”. Una nuova sferzata che arriva solo 24 ore dopo il contro-affondo di Matteo Renzi al governatore della Bce, quel “sulle riforme decido io, non la Troika, non la Bce, non la Commissione Europea” consegnato alle pagine del Financial Times. A quell’intervista, peraltro, da Bruxelles è già arrivata una risposta: un portavoce della Commissione ha ribadito che “è con le riforme strutturali, efficacemente attuate, che si creano le condizioni per crescita e occupazione in Italia”, come detto nelle “raccomandazioni” verso cui “l’Italia si è già impegnata”, ma “l’attuazione delle riforme è questione che riguarda lo Stato”.

Sul fronte dei conti pubblici, secondo Moody’s il rapporto deficit/Pil si attesterà sia quest’anno sia il prossimo al 2,7%. Quindi oltre l’obiettivo del 2,6% inserito dal governo nel Documento di economia e finanza, anche se Renzi ha fatto sapere che quella stima è stata già rivista al rialzo al 2,9%. In più l’agenzia intravede “rischi significativi di ulteriori revisioni al rialzo”. Per quanto riguarda il rapporto debito/Pil, gli analisti dell’agenzia prevedono che raggiunga un picco del 136,4% quest’anno e del 135,8% nel 2015. L’effetto del bonus di 80 euro, definito “misura importante”, per ora “si riflette solo su un mese del secondo trimestre”. Troppo presto, dunque, per valutarne l’impatto. Quel che è sicuro, comunque, è che “l’uso della politica fiscale per stimolare l’economia finora non ha tenuto l’Italia fuori dalla recessione”.

Il rapporto, intitolato “La recessione italiana aumenta gli ostacoli per le riforme fiscali e strutturali del Paese”, ipotizza che questa situazione “avrà effetti negativi sulla politica fiscale e in generale sul clima politico, sia a livello domestico sia europeo”. Visto infatti che “il budget del governo (Documento di economia e finanza, ndr) assume una crescita del Pil dello 0,8%, la contrazione dell’economia minaccia la tenuta fiscale”. A rendere più complessa la sfida, nota Moody’s, è “la dichiarazione di Carlo Cottarelli, capo del programma di spending review del governo, sul fatto che il Parlamento progetta di usare alcuni dei risparmi per finanziare nuove spese per 1,5 miliardi nel 2015 invece di finanziare riduzioni del deficit”. Sintomo, secondo l’analisi, “dei venti contrari che l’Italia fronteggia nel rendere permanenti le riduzioni di spesa a causa delle pressioni politiche”.

Le ricadute di questa situazione si faranno sentire anche sul rapporto con gli altri Paesi Ue: “La lentezza delle riforme e le lacune nella performance di bilancio probabilmente aumenteranno le tensioni con i partner europei, soprattutto con la Germania”, si legge nel documento. Che ricorda come a giugno la Commissione europea, nella sua valutazione sul Programma di stabilità del Paese, abbia “chiesto all’Italia di fare risparmi aggiuntivi quest’anno”. Il riferimento è alla bocciatura della richiesta italiana di rinviare di un anno, dal 2015 al 2016, il pareggio strutturale di bilancio. “Questa sfida diventa più difficile a fronte del deficit di crescita”. Tradotto: sfuma la speranza di poter ottenere da Bruxelles la tanto invocata “maggiore flessibilità” nel rispetto del Patto di stabilità.

Va detto, comunque, che proprio lunedì dall’Ocse è arrivato un segnale positivo sull’andamento dell’economia italiana nei prossimi 6-9 mesi. Il superindice indica infatti, in prospettiva, un’accelerazione della crescita, mentre la Germania mostra una “perdita di slancio” e il valore medio per l’Eurozona resta invariato. E Piazza Affari non si è fatta impressionare dal report: l’indice principale, il Ftse Mib, ha chiuso in rialzo dell’1,39%. Quanto allo spread, il differenziale tra titoli di Stato italiani e tedeschi a dieci anni è rimasto invariato rispetto all’apertura a 172 punti base, comunque in calo di sei punti rispetto alla chiusura di venerdì. Il tasso di interesse pagato dai Btp si è attestato al 2,83 per cento. 

 

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