“Il Senato resti eletto dai cittadini”. “Vuoi mantenere lo status quo”. “Non sono un parruccone”. “I politici facciano sacrifici”. “Italicum e riforma del Senato insieme sono un rischio per la democrazia”. Chi ha scommesso su Berlusconi ha perso: a girare le spalle a Matteo Renzi al tavolo delle riforme è il presidente del Senato Piero Grasso. Lo scontro è aperto, nel merito e nel metodo. Nel merito: “Almeno una quota di senatori deve essere eletta” dice la seconda carica dello Stato. Nel metodo: “Si dice: aspettiamo contributi. Ma ne ho parlato con il ministro Boschi e non ho avuto nessun ritorno”. Grasso arriva dove sono arrivati solo i giuristi di Libertà e Giustizia: “Italicum e abolizione del Senato insieme porterebbero a un sistema senza contrappesi” e ciò rappresenterebbe “un rischio per la democrazia“. Avviene tutto a ritmo serrato – intervista di Grasso, replica di Renzi, controreplica di Grasso – a meno di 24 ore dall’arrivo in consiglio dei ministri della bozza del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi. Uno scambio sul quale la dirigenza del Pd rischia di finire fuori strada, e non solo sulle riforme: la vicesegretaria in pectore Debora Serracchiani arriva alla tentazione di rimettere “in riga” il presidente del Senato. “Grasso – dice la Serracchiani – è un presidente di garanzia, ma credo anche che, essendo stato eletto nel Pd, debba accettarne le indicazioni”. Risuonano tonalità berlusconiane del passato (criticate da sinistra) e infatti il primo a opporsi è un deputato del Pd, Giuseppe Fioroni: “Il Pd rispetta le istituzioni e le cariche istituzionali, non le occupa né le pressa, né le indirizza. Per questo non siamo la destra”.

La mossa di Grasso
L’alt di Piero Grasso (“Il Senato non va abolito, resti eletto dai cittadini”) è significativo non solo perché arriva dalla seconda carica dello Stato, ma perché evidentemente è il messaggio di chi sa di rappresentare un sentimento diffuso nell’assemblea di Palazzo Madama. Lì, infatti, si comincerà a chiedere ai senatori di abolire se stessi. E quindi il presidente del Consiglio e le sue proposte di riforme istituzionali sembrano poter scivolare in un vicolo cieco: da una parte Grasso (e una parte del Pd) che vuole almeno una quota di un centinaio di rappresentanti eletti direttamente; dall’altra l’alleato delle riforme, Forza Italia, furibondo perché è stato invertito l’ordine dei lavori al Senato (doveva arrivare prima l’Italicum e invece è andato in coda). Su tutto, infine, i numeri che sostengono Renzi al Senato: se tutti i partiti dovessero far pesare il proprio pacchetto di voti, il testo del disegno di legge di Renzi potrebbe essere logorato a dir poco. E una prova di forza sarebbe un azzardo per l’esecutivo. Lo stesso Grasso cerca di comunicare con il capo del governo: “Io voglio aiutare il presidente Renzi per non farlo trovare davanti a ostacoli. I numeri a palazzo Madama rischiano di non esserci, basta ascoltare le prese di posizione di Forza Italia”. 

Renzi: “Rispetto Grasso, ma è ora di cambiare pagina”
Eppure il presidente del Consiglio non sembra spaventato: “C’è massimo rispetto nei confronti del presidente Grasso – dice al
 Tg2 – ma abbiamo preso un impegno nei confronti dei cittadini che hanno diritto al cambiamento. E’ ora di cambiare pagina. Capisco le resistenze di tutti, ma la musica deve cambiare. I politici devono capire che se per anni hanno chiesto di fare sacrifici alle famiglie ora i sacrifici li devono fare loro. Il vero modo per difendere il Senatonon è una battaglia conservatrice, ma difendere le riforme che stiamo portando avanti”. Se le riforme falliscono “me ne vado – aveva detto l’altro giorno nell’intervista a Enrico Mentana – Rischio l’osso del collo”. Dipende però quali riforme usciranno.

La replica: “Avevo già espresso le mie perplessità. Ma dalla Boschi silenzio”
E infatti Grasso sembra avere buon gioco nella
controreplica: “Non è una compagna conservatrice – spiega intervistato a In mezz’ora, su Rai3 – Io sono il primo rottamatore del Senato, il primo che vuole eliminare questo tipo di Senato”. Ma il Senato proposto nella bozza di riforma del governo è “una contraddizione in termini“. E non ci sta a passare dal conservatore che resiste ai riformatori: “Assolutamente non sono un parruccone né un conservatore – afferma il presidente del Senato – Io sono un riformista, ma le riforme devono essere fatte in un quadro istituzionale, né sono il portavoce dei senatori”. Con il presidente della Repubblica “siamo vicini”, precisa, ma della riforma del Senato “non ne ho parlato. Parlo solo a nome di me stesso, non porto opinioni di altri”. “Se dobbiamo fare una riforma costituzionale – dichiara – bisogna ponderarla e ottenere anche l’apporto dell’opposizione. Non si può cambiare la Costituzione a colpi di fiducia come si è fatto per le Province”. 

Eppure Grasso, come già ricostruito dall’Unità, aveva già parlato con il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi. Ma dall’altra parte niente, il silenzio. “Avevo parlato con il ministro di queste mie perplessità – racconta il presidente del Senato – Non ho difficoltà a confermarlo. Ho prospettato quelle che sono le mie idee. Si dice è una bozza e ‘accettiamo dei contributi’ ma vedo che questo non è avvenuto. Non ho avuto nessun ritorno”. Dopo l’intervista a Repubblica, insiste, “ho sentito tanti senatori che mi hanno detto ‘finalmente qualcuno che osa dire le cose'”.

Grasso: “Accelerare iter legislativo senza indebolire la democrazia”
E forse non è un caso che Grasso abbia lanciato il primo messaggio attraverso un’intervista a Repubblica e, con un retroscena, dall’Unità, entrambi giornali vicini alle posizioni del Pd. Tuttavia le sue opinioni sono divenute note oggi al pubblico, ma sono conosciute da qualche tempo da Renzi e dal ministro per le Riforme Maria Elena Boschi. Proprio a lei Grasso ha illustrato nei giorni scorsi la sua idea. E cioè: una quota di senatori deve continuare ad essere eletta direttamente dai cittadini e deve avere piene funzioni da “sentinelle” su alcune materie come il bilancio, le riforme costituzionali, i temi etici. “Aldilà delle semplificazioni mediatiche – dice Grasso – nessuno parla di abolire il Senato, ma di superare il bicameralismo attuale. L’urgenza è prima istituzionale che economica: dobbiamo accelerare il processo legislativo, senza indebolire la democrazia”. Et voilà: smontato il progetto di punta del presidente del Consiglio sulle riforme istituzionali. “Da fuori – spiega il presidente del Senato a Repubblica – mi vedono come l’ultimo imperatore, io mi sento l’ultimo dei mohicani”. Afferma di non voler rinunciare alla parola Senato, ma lo vorrebbe “composto da rappresentanti delle autonomie e componenti eletti dai cittadini”, un Senato “composto da senatori eletti contestualmente alle elezioni dei consigli regionali, e una quota di partecipazione dei consiglieri regionali eletti all’interno degli stessi consigli. Per rendere più stretto il coordinamento tra il Senato così composto e le autonomie locali, prevederei la possibilità di partecipazione, senza diritto di voto, dei presidenti delle Regioni e dei sindaci delle aree metropolitane”.

E la riduzione dei costi della politica, la ragione principe che spinge Renzi a promettere l’abolizione dell’Assemblea, oltre al tentativo di rendere più spedito il processo di approvazione delle leggi? “Possiamo ottenere risparmi maggiori – afferma – diminuendo il numero complessivo dei parlamentari e riducendo le indennità, solo per iniziare. Poi mi faccia dire che non si può incidere sulla forma dello Stato solo con la calcolatrice in mano”. 

Le differenze tra il progetto di Renzi e il piano di Grasso
Ma sotto il profilo tecnico quali sono le differenze con il progetto di Renzi pubblicato un paio di settimane fa sul sito del governo? Il ddl pensato dal segretario del Pd e dalla sua responsabile delle riforme Boschi è puntellato su tre elementi principali: una sola Camera dà la fiducia, stop alle leggi che fanno la “navicella” (tra Camera e Senato), Senato con elezione di secondo grado (cioè indicati dai consigli regionali e non dagli elettori) con conseguente taglio di 315 indennità. Nel piano di Grasso resta il fatto che il Senato non darà la fiducia, ci sarà un tempo di 60 giorni per approvare i disegni di legge del governo (al bando tagliole e ghigliottine, ma anche ostruzionismi vari), ma appunto una quota di un centinaio di senatori eletti direttamente. Il perché eccolo: “Ritengo che per una vera rappresentatività sia indispensabile che almeno una parte sia eletta dai cittadini, come espressione diretta del territorio e con una vera parità di genere. Una nomina esclusivamente di secondo grado comporterebbe una accentuazione del peso dei partiti piuttosto che di quello degli elettori”. Nel merito Renzi nella sua replica non entra nel dettaglio ma ribadisce: “Mai più bicameralismo perfetto”. “Il modello che proponiamo – aggiunge – rispetta la Costituzione. La nostra proposta dice basta con il Senato come lo conosciamo adesso” e porta alla “semplificazione del processo legislativo”.

Gli equilibri del Senato
Ma non ci si può dimenticare quanto pesano su questo dibattito le forze in gioco. Perché se all’interno del Pd tutto sembra essere filato liscio (in direzione nazionale è finita 93 a 12 per la relazione di Renzi), gli emendamenti democratici sono ancora lì e molti vanno nella direzione di Grasso. Rispunta, per esempio, Giuseppe Lauricella, già autore delle “performance” con l’Italicum: suo l’emendamento poi approvato per far valere la nuova legge elettorale solo per la Camera e non per il Senato. Lauricella propone – come Grasso – una quota di eletti con un sistema proporzionale e una quota di rappresentanti delle professioni. Un’impostazione non lontana da quella degli altri partiti di maggioranza, Nuovo Centrodestra e Scelta Civica, per esempio. Dall’altra parte c’è Forza Italia – il “grande alleato” – che lascia partire sbuffi come il Vesuvio. I berlusconiani hanno la luna girata perché Renzi ha anticipato la discussione sulla riforma del Senato mettendo a data da destinarsi il dibattito sulla riforma elettorale. In più sono d’accordo sull’elezione diretta di una parte dei senatori e soprattutto sostengono la tesi del “premierato forte”. Tutti all’arrembaggio, dunque. Cosa rimarrà. Difficile da capire, ma quello di Grasso appare un avvertimento: “Non penso che si possa riformare la Costituzione con un maxi-emendamento e senza alcun contributo delle opposizioni”.

Tanto è vero che la lettura del capogruppo di Forza Italia alla Camera Renato Brunetta è questa: quello tra Grasso e Renzi “è un doppio conflitto – spiega a SkyTg24 – il presidente del Senato contro il governo e il presidente del Senato del Pd contro il suo segretario. Basta e avanza per dichiarare la fine di questa esperienza di governo di Renzi”. Ci sono tante voci che dicono di una Forza Italia pronta a supportare la maggioranza, in caso di problemi, in Senato. “Né sopportare, né supportare. Noi siamo – risponde Brunetta – all’opposizione di questo governo, siamo all’opposizione di Renzi, siamo per una riforma elettorale istituzionalmente concordata. Se questo non è più possibile, ognuno per la propria strada. A casa Renzi e si vada alle elezioni”. 

Sul fronte della legge elettorale”noi non possiamo votare qualunque cosa: su questo punto arriveremo al momento della verità”. Lo ha detto, nel suo intervento ad un incontro a Bologna, Gianni Cuperlo. “Io parlo per me, solo ed esclusivamente per me, non sono disposto a sacrificare la bibbia costituzionale sull’altare dell’accordo con Verdini. Aiuteremo le riforme – ha concluso – ma rivendicando rispetto nei principi e nel merito”.

Monti: “L’urgenza non si trasformi in precipitazione”
Dopo l’appello di Libertà e giustizia perché “Renzi non stavolga la costituzione e non delegittimi il Parlamento” si moltiplicano le voci che raccomandano prudenza. L’urgenza non si trasformi in “precipitazione e scarsa ponderazione. Questo sarebbe pericoloso, soprattutto nelle riforme costituzionali –  scrive l’ex presidente del Consiglio e senatore a vita Mario Monti in una lettera inviata al Corriere della sera – Vedo questo rischio, grave, nel provvedimento per il superamento del bicameralismo paritario e per la riforma del Senato, che sarà domani sul tavolo del Consiglio dei ministri”. Secondo il Professore “gli intenti che muovono il presidente Renzi sono sacrosanti. L’attuale bicameralismo perfetto è in realtà un monumento all’imperfezione: lento, costoso, di ostacolo ad un’azione efficace di governo, obsoleto per un Paese articolato su autonomie territoriali e membro dell’Unione Europea. È perciò essenziale che quegli intenti vengano realizzati”.

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