Di fronte alla globalizzazione capitalistica possono risultare vincenti le politiche attuate su base sufficientemente ampia, quindi continentale. Sono quindi illusorie e suicide le velleità di ritorno agli Stati nazionali. Se, ad esempio, l’Italia uscisse dall’euro, ne risulterebbe solo un ulteriore aggravamento della situazione, a cominciare dalla moltiplicazione del debito e dall’ulteriore depauperamento del potere d’acquisto della gente. Pertanto risultano demagogiche e nulle le proposte dei cosiddetti populisti, che si limitano ad indicare l’Europa, insieme agli immigrati, come capro espiatorio.

L’Europa com’è attualmente, tuttavia, ostaggio delle grandi corporation e del potere finanziario, non serve assolutamente a nulla. Essa risulta assoggettata al potere neocoloniale della Germania e dominata dalle lobby che fanno il buono e il cattivo tempo a Bruxelles. Di fronte a questo schifo, chiunque si dichiari antieuropeista è destinato a fare incetta di voti e di consensi.

Ci troviamo quindi fra Scilla e Cariddi. Fra gli europeisti beoti, pronti a lucidare con la lingua gli stivali di Frau Merkel e incapaci di far valere la benché minima istanza nazionale e di classe, operando i necessari collegamenti fra le due dimensioni. E gli antieuropeisti babbei, che strillano contro l’Europa e raccolgono i consensi della gente che non ne può più, ma non sanno indicare prospettive efficaci che siano all’altezza dei tempi e dei problemi.

Che fare dunque? Occorre mettere all’ordine del giorno la lotta per un’Europa che sia completamente diversa dall’attuale e che potrà essere conseguita solo rovesciando l’impostazione neocoloniale di Frau Merkel e dei suoi alleati. 

In questo ambito diventa strategica l’iniziativa contro la finanza che affama i popoli. Su Le monde diplomatique di questo mese si può leggere al riguardo un interessantissimo intervento del presidente ecuadoriano Correa che mette in guardia gli europei dal pericolo rappresentato dall’asservimento alla finanza mediante l’indebitamento, un destino che, prima che agli europei è stato riservato ai latinoamericani e altri popoli del cosiddetto Terzo Mondo.

Scrive Correa: “L’Unione europea soffre di un indebitamento prodotto e aggravato dal fondamentalismo neoliberista. Rispettando la sovranità e l’indipendenza di ogni regione del mondo, siamo sorpresi di constatare come l’Europa, tanto illuminata, ripeta in toto gli errori compiuti in passato dall’America Latina”.

E’ fondamentale la battaglia culturale e politica contro il neoliberismo tuttora imperante, sebbene sia evidente a tutti che ha clamorosamente fallito. Come scrivono Luciano Gallino, Giorgio Lunghini, Guido Rossi ed altri:” L’estrema destra economica ha visto il vuoto culturale e politico che si è creato e si è inserita cercando di sovvertire la Costituzione solidaristica italiana nei tre punti fondamentali del rimuovere ogni controllo alle decisioni del settore privato, nel togliere al governo dei cittadini il controllo e la responsabilità della spesa pubblica (il cosiddetto vincolo di pareggio del bilancio) e nel mettere i lavoratori in condizione di ubbidire senza parlare, se hanno la fortuna di essere accolti dentro le mura di una delle fabbriche superstiti”. Aggiungono Daniela Palma e Francesco Sylos Labini: “Nella confusione politica generale che stiamo vivendo, le idee dell’estrema destra economica hanno permeato i partiti di centrosinistra in tutta Europa. In Italia il Partito Democratico, porta avanti anche idee che altrove sono dell’estrema destra politica ed è non di rado in balìa di gruppi di pressione molto ben organizzati”. In Germania, del resto, la maggioranza del Partito socialdemocratico ha raggiunto con la Merkel un accordo alle spalle degli altri popoli europei, che ha come scopo il consolidamento della posizione dominante della Germania.

Abbandonare l’Europa per tornare alle piccole patrie non serve. Occorre invece rilanciare la lotta dentro l’Europa coniugando interessi nazionali ed interessi di classe. A tale fine è un fatto importante il lancio della candidatura del dirigente di Syriza Alexis Tsipras a presidente della Commissione europea. Perché la sinistra ha molto da farsi perdonare e molto da cambiare, ma resta l’unica possibilità di alternativa, sia a livello europeo che nazionale.

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