I carri armati hanno ripreso a sparare stamattina sul centro urbano di Daraa, epicentro delle manifestazioni in Siria contro il regime di Bashar al Assad. Le 21 vittime contate finora dalle associazioni non governative si aggiungono così alle 25 persone morte ieri negli scontri. Una battaglia combattuta anche all’interno delle stesse forze governative. Ieri, infatti, un reparto dell’esercito regolare si è scontrato con le forze speciali, inviate dal governo nella zona da Damasco. I combattimenti sono iniziati quando i soldati dell’esercito regolare si sono rifiutati di aprire il fuoco sui manifestanti. Una pratica che il governo ha giustificato in una nota ufficiale come necessaria per sedare le proteste e “ristabilire la tranquillità del Paese”, turbata dalle azioni di “estremisti armati”. I cittadini invocano l’intervento della comunità internazionale, “perché l’esercito che circonda la città impedisce l’arrivo di viveri, – afferma Abdel Kaser, un abitante di Daraa – inoltre ci sono gruppi di miliziani armati che stanno attaccando le case dei civili”. Sempre ieri, inoltre, le autorità siriane hanno arrestato almeno 500 persone in diverse città, mentre altre due vittime civili si sono registrate nella zona di Duma, sobborgo della capitale, oggi assediata dalleforze militari che starebbero dando la caccia a Kassem Ghannun, attivista politico e proprietario di una fabbrica di ceramiche della zona. Oggi è stato prelevato dalla sua abitazione anche Qassem alGhazzawi, noto attivista siriano, e sarà invece portato di fronte al tribunale militare l’esponente dell’opposizione Mahmud Issa, arrestato lo scorso 19 aprile. Per lui, secondo quanto riferiscono le organizzazioni non governative, l’accusa è “di possedere un telefono satellitare e un computer high-tech”.

Dal punto di vista internazionale cresce l’attenzione sulle proteste siriane. Il capo della Cia, Leon Panetta, è stato per cinque giorni ad Ankara, alla fine di marzo, per colloqui segreti riguardo alla situazione di tensione nel Paese. L’incontro tra il numero uno dei servizi segreti statunitensi e alcuni funzionari turchi è stato reso noto solo adesso. In particolare, il capo dell’intelligence Hakan Fidan il mese scorso sarebbe stato inviato a Damasco dal premier turco Recep Tayyip Erdogan per incontrare il presidente siriano. I colloqui con Panetta avrebbero riguardato un possibile cambiamento del regime nel Paese e l’assicurazione dell’incolumità della famiglia Assad. E mentre i servizi segreti lavorano, il dipartimento di Stato Usa invita i connazionali nel Paese a rientrare “immediatamente, finché i voli di linea sono facilmente disponibili”. A una soluzione sta lavorando intanto anche la Gran Bretagna, che ha scelto la strada della pressione sul governo siriano. Il ministro degli esteri britannico, William Hague, ha fatto sapere che il governo ha allo studio – insieme ai suoi partner internazionali – possibili ulteriori sanzioni contro la Siria.

Sul fronte italiano, invece, arriva l’avvertimento ufficiale della Farnesina, che sconsiglia “per il momento viaggi in Siria”. Ma c’è chi nel Paese c’è già e vorrebbe tornare a casa. Come gli artisti abruzzesi del circo Embell Riva, da alcuni mesi in Siria per una tournee. “Siamo in gravi difficoltà economiche, – ha spiegato Roberto Bellucci, patron del circo – non possiamo lavorare perché le autorità siriane ci hanno negato i permessi in quanto il circo è un luogo pubblico e dunque c’è un rischio attentati”. “Una situazione veramente drammatica” quella vissuta dai più di 70 dipendenti del circo, tra cui due bamcini di sei e otto mesi nati a Damasco durante il tour, spiega Bellucci in una lettera inviata all’ambasciata italiana di Damasco. Gli artisti potrebbero tornare a casa con un traghetto per Venezia, con partenza assicurata per sabato trenta aprile. Dopo quella data, le partenze saranno confermate o meno secondo l’evolversi delle proteste nel Paese.

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