Referendum lavoro, i tre quesiti sul Jobs Act svelano che l’Italia non si era rifatta al modello tedesco

Ve li ricordate i soliti tromboni che negli anni delle riforme Fornero e del Jobs Act promuovevano le loro strampalate idee su mercato del lavoro e licenziamenti pretendendo di rifarsi al cosiddetto “modello tedesco”?
“Il passaggio critico è sull’articolo 18. Due parti su tre funzionano: quelle che riguardano i licenziamenti discriminatori e disciplinari. E invece da correggere il vero punto debole, quello dei licenziamenti economici. Lì bisogna applicare in toto il modello tedesco.” (Enrico Letta, marzo 2012);
“Anche noi vogliamo il modello tedesco che prevede che sia il giudice a decidere tra reintegro e indennizzo nel caso di licenziamento per motivi economici giudicato illegittimo.” (Raffaele Bonanni, segretario della Cisl, marzo 2012);
“Il problema non è l’articolo 18, non lo è mai stato e non lo sarà. Quello tedesco rappresenta un modello da imitare.” (Matteo Renzi, agosto 2014);
“Togliamo l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e il mercato del lavoro italiano funzionerà come quello tedesco o statunitense. Invece di obbligare le aziende al reintegro in mancanza di giusta causa si dia un indennizzo al lavoratore.” (Renato Brunetta, settembre 2014).
Naturalmente non era vero niente: né che il “modello tedesco” prevedesse ciò che questi signori predicavano, né tantomeno che il Jobs Act abbia introdotto nel diritto italiano i principi del diritto del lavoro tedesco. Non avevano capito niente? Mentivano sapendo di mentire? Ah, saperlo!
Eine kleine Pinzimonie
Siccome l’8 ed il 9 giugno gli italiani sono chiamati ad esprimersi su 5 quesiti referendari, di cui tre proprio relativi al Jobs Act, vediamo come si pone il quadro italiano rispetto al famigerato “modello tedesco”:
Primo quesito
I promotori propongono di abolire il d.lgs. 23/2015, che – per i datori di lavoro che occupano più di 15 dipendenti – ha limitato la cosiddetta “tutela reale” (ovvero: se il licenziamento è illegittimo, il lavoratore riottiene il posto di lavoro) ai soli licenziamenti discriminatori (p. es.: lavoratore licenziato in quanto musulmano) o quando sia accertata l’insussistenza del fatto “materiale” contestato al lavoratore (ad es.: lavoratore licenziato per aver rubato dimostra che il furto non è mai avvenuto). Tutti gli altri licenziamenti illegittimi danno al lavoratore diritto ad ottenere un indennizzo monetario.
Se approvato, il referendum ristabilirebbe il regime in vigore dopo la cosiddetta riforma Fornero, che – semplificando – già aveva fortemente limitato la tutela reale, ma ancora la prevedeva a discrezione del giudice in alcuni casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (es.: licenziamento per riorganizzazione aziendale mai avvenuta).
In Germania, qualsiasi sia la causa di illegittimità del licenziamento, l’unica tutela possibile è proprio quella reale: il lavoratore può impugnare il licenziamento sempre e solo per riottenere il posto di lavoro. E il giudice, nell’accertare l’illegittimità del licenziamento, può solo disporre il reintegro. Esiste un solo caso in cui su istanza di una delle parti il giudice può risolvere il rapporto, quando per motivi essenzialmente personali non sia accettabile la prosecuzione dello stesso (ad esempio: una delle parti ha pesantemente diffamato l’altra in corso di causa). Ma si tratta di ipotesi del tutto eccezionali che rappresentano una percentuale irrilevante dei casi.
Naturalmente nulla vieta alle parti di addivenire ad un accordo anche in corso di causa per risolvere il rapporto dietro pagamento di una indennità (anzi, nella stragrande maggioranza dei casi è questo che avviene). Ma è questione rimessa al loro libero negoziato. Chissà cosa avevano capito Bonanni & co? E certo non si può dire che non fossero del mestiere. Era molto più simile al “modello tedesco” l’art. 18 versione classica, pre-Fornero.
Secondo quesito
Abolizione del tetto massimo di sei mensilità dell’indennizzo dovuto dal datore di lavoro in caso di licenziamento illegittimo in un’azienda di non più di 15 dipendenti (dove la tutela reale non esiste). Se approvato, a fronte di un licenziamento illegittimo il giudice fisserebbe un indennizzo di importo “libero”, commisurato alle specifiche del caso. In Germania nelle aziende con non più di 10 dipendenti il datore è libero di licenziare senza addurre motivazioni, rispettando il periodo di preavviso previsto. Quindi non è previsto alcun indennizzo: se il licenziamento è sempre legittimo, perché far pagare una penale? In punto di logica, ineccepibile. Anche qui, “modello tedesco” non pervenuto.
Terzo quesito
Restrizione dell’applicabilità del contratto di lavoro a termine. Il Jobs Act aveva liberalizzato l’uso dei contratti a termine fino a tre anni di durata senza bisogno di specificare una causale, quale ad esempio la sostituzione di un lavoratore in congedo. Il cosiddetto decreto dignità del 2018 ha in seguito ridotto il termine del contratto senza causa a 12 mesi, mentre nelle ipotesi in cui sussiste una delle cause ammesse dalla legge (ad es. sostituzione di un lavoratore in congedo) la durata può arrivare sino a 24 mesi. In caso di approvazione del quesito referendario, le “cause” ammesse per stipulare un contratto a tempo determinato (tra i 12 e i 24 mesi) si ridurrebbero alla sostituzione di un lavoratore e alle cause previste dal contratto collettivo applicabile.
In Germania il contratto a tempo determinato senza causa è sempre ammesso ma solo fino alla durata di due anni con lo stesso datore (anche se totalizzati prorogando il contratto iniziale fino a tre volte). Se, per contro, sussiste una causa oggettiva per limitare la durata (la legge ne individua alcune, tipo la sostituzione di un lavoratore, l’assunzione per uno specifico progetto a termine etc.), è sempre possibile utilizzare il contratto a termine, anche ripetutamente con lo stesso datore. La giurisprudenza è molto severa nel valutare la sussistenza di una “causa” che giustifichi il termine. Anche su questo, era più tedesca la governante di Amici Miei: lei sì, severissima, in uniforme, due anni di contratto.