Finché non sapremo distinguere i ‘litigi’ dalle ‘aggressioni’, la violenza sulle donne non si arresterà

di Susanna Stacchini
Alcune sere fa, seguendo il telegiornale delle 20,00 su La7, ho ascoltato il servizio riguardante un gravissimo fatto di cronaca. Mi riferisco alla vicenda del giovane ventunenne che ha accoltellato il padre, per difendere la madre, dall’ennesima aggressione. Nel descrivere il contesto e più nello specifico l’accaduto, è stato detto che il ragazzo ha reagito violentemente, perché esasperato dai continui litigi fra i genitori.
Successivamente, ho voluto verificare la versione fornita da altri mezzi di informazione, così mi sono resa conto che la maggioranza dei media ha usato la stessa terminologia per descrivere la tragedia. Una terminologia quantomeno fuorviante. Si è parlato di “litigi” e non di “aggressioni”, come fossero sinonimi, ma non lo sono affatto.
Nel primo caso, siamo di fronte a un modo di relazionarsi paritetico. Ci sono due soggetti, entrambi in grado di esprimere la propria contrarietà, indipendentemente se sopra le righe o più pacatamente. Insomma, in questa circostanza, nessuno dei due, è sottomesso all’altro. L’aggressione invece, non si caratterizza per uno scambio, se pur turbolento, tra pari. Nel caso dell’aggressione verbale, scatta inevitabilmente la supremazia di un soggetto sull’altro, che di fatto subisce soltanto. L’aggressione verbale è un atto di violenza che si compie per mezzo di un linguaggio offensivo, umiliante, minaccioso e intimidatorio, volto a creare sudditanza e danno psicologico enorme, dai postumi talvolta permanenti.
Ecco, a mio modesto parere, finché non riusciremo a percepire in modo netto la differenza che passa fra un litigio e un’aggressione, resteremo ancora un passo indietro, nella lotta contro la violenza sulle donne. Finché non sarà un automatismo, usare correttamente l’uno o l’altro sostantivo, la violenza sulle donne non potrà subire significativi arresti.
La violenza di genere è legata a retaggi culturali difficili da estirpare, anche perché alla fine, ne siamo tutti più o meno coinvolti. Ma il tempo a disposizione è finito, non è più possibile aspettare e rimanere a guardare. Dobbiamo trovare tutti quanti, quella dose di consapevolezza e coraggio che ancora manca, per diventare davvero protagonisti di questa battaglia. Ed è di tutta evidenza che ciò, vale a maggior ragione per i giornalisti che essendo chiamati proprio per mestiere, a cercare e divulgare la verità, qualunque essa sia, hanno la possibilità di dare un contributo davvero prezioso alla causa.
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