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A sabotare l’Ue, prima ancora della Russia, ci pensano i suoi stessi membri

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C’è una cosa che questa Europa continua a dimenticare: a sabotare l’Unione, prima ancora della Russia, ci pensano i suoi stessi membri. Tra i campioni in questo sport c’è la Polonia, un paese che ha incassato miliardi dall’Ue per modernizzare la propria economia, ma che ama giocare al partner autarchico, dall’alto della montagna di sussidi accumulata senza sosta da oltre una generazione.

Facciamo due conti: la Polonia è il più grande beneficiario netto dei fondi europei, ovvero prende molto più di quanto versa nel bilancio comunitario. Non si tratta di un atto di carità, ma di un investimento calcolato nell’ottica liberista dell’Ue: sviluppare economie più deboli per creare nuovi mercati di sbocco. Un investimento che ha pesato sulle casse di altri stati membri, compresi quelli oggi infestati da neo-fascisti in giacca e cravatta, sempre pronti a gridare all’Europa matrigna mentre i loro governi approvavano senza battere ciglio i trasferimenti di denaro verso Est.

Infatti, la Polonia, insieme a Ungheria e Slovacchia, ha una responsabilità enorme anche per la deriva a cui assistiamo nei parlamenti dell’Europa occidentale. Per devolvere miliardi di euro a quei paesi – tra cui l’Italia, che contribuisce di più – le fasce medie e quelle a basso reddito subiscono da anni una vera e propria ghigliottina di lacrime e sangue sulla spesa sociale. In un circolo vizioso senza fine, nei paesi più ricchi si tagliano diritti e servizi con un laconico “arrangiatevi”, mentre ad Est la retorica sovranista locale viene alimentata con una pioggia di denaro che garantisce l’esenzione dalle regole comuni; e questo grazie agli interessi di alcune lobby occidentali in quei paesi, dove a lungo sono state abbondanti risorse, manodopera a basso costo e tassazione favorevole.

Dopo anni di politiche migratorie riassunte nel motto “dateci i soldi, tenetevi i rifugiati” e di grasse risate verso le procedure di infrazione (vedi il capitolo giustizia), la Polonia sembra ora voler spingere al limite la propria, cara, indipendenza. Mentre la piazza di Roma del 15 marzo sventolerà le bandiere blu, non si capisce bene di quale Europa ideale, quella reale conta munizioni e gioca al Dottor Stranamore.

Proprio la Polonia, per non farsi mancare nulla, ha ritirato fuori la “N word” – in questo caso la “N” sta per nucleare – come se nulla fosse. Pretendono di riarmarsi, di possedere l’atomica, mentre esigono che tutti gli altri stiano zitti di fronte alla presunta minaccia esistenziale proveniente dalla Russia e paghino il conto. Pensate il paradosso: in Italia siamo un paese denuclearizzato, per fortuna ma chissà ancora per quanto, e mentre l’esecutivo schiaccia quel che resta di diritti e welfare dobbiamo essere felici di riempire di soldi un altro paese che ha candidamente annunciato di voler arricchire il plutonio e buttarsi nel business della deterrenza atomica. Dove sarebbe qui il progetto collettivo di difesa?

Se l’Ue decidesse di chiudere i rubinetti, la Polonia perderebbe immediatamente il 5% del suo Pil, senza contare gli effetti indiretti. Non sarebbe una catastrofe, ma un colpo durissimo. L’Europa deve smettere di fare il bancomat senza condizioni: il gioco dei nazionalisti polacchi e ungheresi è possibile solo perché l’Ue li ha nutriti a lungo senza chiedere nulla in cambio. Il riarmo e la difesa non possono essere totalmente esentati dal dibattito europeo, soprattutto da quei paesi che devono tanto al sacrificio economico anche di stati dove questa folle corsa è al centro di un acceso dibattito. Ora più che mai: prima le regole, poi le bandierine blu.

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