Nelle politiche culturali si osservano assai diverse “letture” dei fenomeni, tra televisione pubblica e settore cine-audiovisivo: tra ostinato ottimismo “istituzionale” e diffuse critiche “dal basso”.
Alcuni esponenti della Rai (e diversi politici del centro-destra) hanno proposto un’interpretazione eccezionale dei risultati di audience dell’ultima edizione del Festival di Sanremo, arrivando a sostenere che esso “rappresenta” il Paese tutto (anzi… la Nazione), in una versione priva di polemiche aspre e sostanzialmente “democristiana” (intesa come moderazione e conformismo). Ignorando le modalità penose con cui è stata concessa una finestrella alla rappresentazione delle disabilità, ovvero lo spazio accordato allo storico Teatro Patologico di Dario D’Ambrosi (molte le critiche da parte di esponenti della comunità dei diversamente abili)… A fronte di questa visione “dall’alto” (istituzionale, politica, rituale), pochi denunciano lo stallo nel quale vive Viale Mazzini, con la Commissione di Vigilanza che da mesi non riesce ad eleggere il nuovo Presidente della Rai…
Non meno grave e surreale è la situazione del settore cine-audiovisivo: martedì 4 marzo, si terrà di fronte al Tar del Lazio l’udienza relativa alle decine di ricorsi che molte società di produzione indipendenti hanno presentato contro i decreti ministeriali, che – dopo estenuante gestazione – vorrebbero riformare l’intervento dello Stato a favore del settore, ed in particolare del controverso strumento del “Tax Credit” (la “Legge Franceschini”). E si continua a registrare lo strano silenzio, da settimane, della sottosegretaria delegata, la senatrice leghista Lucia Borgonzoni, a fronte della crescente in/sofferenza dei lavoratori: non i grandi attori ovviamente, ma le maestranze, le troupe…
Per il giorno stesso dell’udienza, è stato convocato un presidio dei lavoratori in via Flaminia 109 (davanti al Tar), sostenuti anche dal battagliero comitato #Siamoaititolidicoda. Ci sarà un giudice a Berlino?! I lavoratori denunciano impressionanti livelli di disoccupazione – da oltre un anno e mezzo – anche se purtroppo non esiste un osservatorio indipendente per smentire l’ottimismo sbandierato nei mesi scorsi dalla sottosegretaria, che ribadisce che il settore lavora alla grande e che è “menzogna” (sic) sostenere che anche gli “studios” di Cinecittà siano deserti…
In questa contraddizione tra il “tutto va bene” per la Marchesa ovvero della sottosegretaria e la casa che va “a fuoco” (parafrasando il motivetto di Alberto Rabagliati) dei lavoratori, lo scenario è comunque cupo. Prevale un’èlite privilegiata, una piccola cupola: una sorta di “oligarchia plutocratica” forte soprattutto del proprio capitale relazionale (personale e politico).
In sintesi: i “big player” della produzione televisiva, ovvero i (pochi) privilegiati che hanno un rapporto esclusivo con Rai Fiction, hanno continuato a lavorare e non debbono pendere dalle labbra dei “decision maker” del “Tax Credit”… ma, al di là di queste 5/10 imprese (per lo più controllate da multinazionali straniere), l’accesso al mercato e al sostegno pubblico è precluso a centinaia di piccole e medie società. Che sono stremate. Nel settore cinema, a parte coloro che riescono ad ottenere il sostegno di RaiCinema, oltre il 90% delle imprese medie e piccole è ferma. In sostanza, chi non ha accesso alle ovattate stanze di Paolo Del Brocco (Rai Cinema) o di Maria Pia Ammirati (Rai Fiction) è fuori dei giochi: a spasso, disoccupato…
E che dire degli “annessi e connessi” del sistema, ovvero delle centinaia e centinaia di festival di cinema (oltre 500, stime IsICult), di cui soltanto 140 sono stati finanziati dal Ministero della Cultura? Chi non è nella “eletta schiera”, boccheggia e chiede aiuto a Regioni, Comuni, sponsor. E, se non lo riceve, chiude bottega.
E che dire poi dei festival italiani all’estero, sovvenzionati con criteri spesso opinabili? Una chicca: in questi giorni, s’è tenuto a Los Angeles “Italia – Film Fashion and Art Fest”, fondato da Pascal Vicedomini. Il Mic gli assegna circa 100mila euro di contributo (per il solo festival a Los Angeles e ben quasi altri 400mila euro per un suo festival a Capri ed un altro a Ischia), ma Vicedomini – che è anche conduttore di trasmissioni Rai in fascia oraria sepolcrale – negli Usa non si presenta al suo stesso festival dall’edizione 2023, dopo essere stato ascoltato come testimone durante le indagini preliminari per il caso Harvey Weinstein… Anche Pascal Vicedomini, come la potente Tiziana Rocca, è uno dei “big player” dell’oligarchico sistema italico.
In Italia il sistema pubblico di sostegno a cinema e audiovisivo è un colabrodo: sovvenzioni assegnate spesso con criteri imperscrutabili, asimmetrie incomprensibili, prevalenza del “capitale relazionale” sulla qualità progettuale… Vale per il “Tax Credit”, vale per i festival e tanto altro ancora. E che ci sia un (gran) deficit di conoscenza, verifiche, valutazioni e controllo è ora confermato dalla stessa Direzione Cinema e Audiovisivo: in attesa dell’approvazione del cosiddetto “piano di riparto” della Legge Cinema e Audiovisivo – 696 milioni di euro per il 2025 il Ministero ha deciso finalmente di prevedere qualche milione del Fondo da destinare ad attività di… “controllo”. Era ora!
Ps. Sabato scorso il ministro della Cultura Alessandro Giuli, a seguito delle polemiche scatenate dal quotidiano La Verità su alcuni finanziamenti “anomali” a festival promossi da Goffredo e Fabia Bettini e da Francesco Rutelli, ha annunciato l’intenzione di cambiare le regole del sostegno pubblico alla promozione del cinema e dell’audiovisivo (festival in primis): un altro dossier scabroso della “res publica” culturale italica…
Aggiornato da redazioneweb il 4 marzo alle ore 16