Il comportamento dell’Italia nella vicenda del torturatore libico Almasri è all’esame della Corte penale internazionale e più precisamente della Pre-Trial Chamber I della divisione preliminare. A comunicarlo è il portavoce della CPI, Fadi El Abdallah, che in una nota per la stampa ha scritto: “In relazione alle richieste e ai resoconti dei media sul caso Al Masri, posso chiarire che la questione del mancato rispetto da parte dello Stato (italiano, ndr) di una richiesta di cooperazione per l’arresto e la consegna alla Corte è all’esame della Camera competente, ovvero la Camera Pre-Triale I. Nell’ambito di questa procedura, ai sensi del Regolamento 109(3) della Corte, l’Italia avrà l’opportunità di presentare osservazioni. Fino a quando la Camera preliminare I non avrà esaminato la questione e preso una decisione, la Corte non fornirà ulteriori commenti”.

Dopo la mancata convalida dell’arresto, che il Guardasigilli Nordio avrebbe potuto sanare intervenendo per tempo, il Viminale ha immediatamente firmato un decreto di espulsione per “motivi di sicurezza dello Stato” e riaccompagnato Almasri a Tripoli con un volo di Stato. Questione che dunque non è chiusa. Da vedere ora se il fascicolo aperto in Camera preliminare avrà un seguito. Il regolamento 109 della Corte citato nella nota del portavoce disciplina i casi di presunta mancata cooperazione da parte di uno Stato. Al paragrafo 3 prevede che la Camera competente possa chiedere spiegazioni al Paese inadempiente. Dopo aver valutato la risposta, la Camera può decidere se portare la questione all’Assemblea degli Stati Parte o al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in base all’articolo 87, comma 7, dello Statuto di Roma, il trattato istitutivo della stessa Cpi. Poiché la Cpi ha giurisdizione sulla Libia in virtù di una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza – adottata il 26 febbraio 2011 – che sancisce un obbligo di cooperazione, un’eventuale condanna da parte della Camera per mancata collaborazione dell’Italia nella consegna del generale libico sarebbe trasmessa al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e non solo all’Assemblea degli Stati Parte della Corte.

Al momento non vi è, invece, alcuna ipotesi contro funzionari italiani. Lo precisa, in conclusione, la nota del portavoce della Cpi: “Questo processo non riguarda responsabilità individuali o casi contro persone specifiche”. Il fascicolo aperto all’Aja non ha nulla a che fare nemmeno con la denuncia depositata il 5 febbraio a nome di un rifugiato sudanese contro la premier Giorgia Meloni e i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi per aver ostacolato l’amministrazione della giustizia con la mancata consegna del ricercato. “Sono stati segnalati casi di richieste presentate al procuratore” capo della Corte penale internazionale “per aprire casi contro individui ai sensi dell’art. 70 (oltraggio alla Corte)”, ma “l’ufficio del procuratore non commenta tali comunicazioni”, ha chiarito il portavoce dell’Aja. “Su questa questione separata – aggiunge -, l’ufficio del procuratore ha indicato che, ai sensi dello Statuto di Roma, il trattato istitutivo della Cpi, qualsiasi individuo o gruppo da qualsiasi parte del mondo può inviare informazioni (che la Cpi definisce ‘comunicazioni’) al procuratore”.

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