Costretti dal nostro cervello a mangiare sempre di più e sempre peggio. Condannati alle dipendenze di ogni tipo, dalle droghe, al porno, al digitale. Tutto questo ha dei colpevoli abbastanza precisi: le aziende che utilizzano la conoscenza dei nostri meccanismi cerebrali per spingerci al consumo. A lanciare l’allarme è lo scienziato danese Nicklas Brendborg, di cui è appena uscito in Italia Ancora un po’. Come la scienza manipola i nostri istinti e i nostri consumi (Sonzogno editore).

Tra non molto, spiega l’esperto, il Pianeta avrà superato il discrimine fatale del 50 per cento della popolazione in sovrappeso. L’emergenza riguarda tutti i Paesi in maniera trasversale, dal Messico alla Nuova Zelanda, dall’Iraq a Israele. Ciò avviene perché siamo abbindolati dai cibi superstimolanti, studiati in laboratorio proprio per attivare in maniera anomala i meccanismi di ricompensa del cervello.

Produttori in guerra con il senso di sazietà

“I produttori sono in guerra con il senso di sazietà e autocontrollo dei consumatori e per questo eliminano la fibra dai loro prodotti”, afferma Brendborg e “finanziano centri di ricerca e studiosi pur di ottimizzare al milligrammo le patatine, barrette al cioccolato, bibite gassate, gelati, caramelle, i cookie e i pasti pronti da riscaldare al microonde, neanche fossero farmaci anticancro o armi segrete”. Si studiano gli esaltatori di sapidità, i coloranti, il tipo di doratura delle patatine per ottimizzare i cibi in modo da avere esattamente i risultati attesi. Si tratta ovviamente degli alimenti ultratrasformati o ultraprocessati, quelli dalle date di scadenza lunghissime, le confezioni colorate e una lista interminabile di ingredienti. Ma gli zuccheri si trovano anche in salse, affettati, fagioli in scatole, sughi pronti, cereali per la colazione, e molto altro, spesso camuffati sotto l’espressione “concentrato di” (frutta, pomodoro etc). Nei fast food ormai lo zucchero ormai è ovunque, dal macinato per gli hamburger, al riso per il sushi alle zuppe. Anche i ristoranti normali non sono più sani: oltre agli zuccheri, si usano grandi quantità di grassi per attirare i clienti, associati ai primi (una combinazione che non esiste negli alimenti naturali).

Il terzo elemento incriminato è il sale, di cui consumiamo 7-10 grammi al giorno contro il requisito fisiologico di 0,5 grammi.

Dipendenze e crisi di astinenza

Più ingeriamo zuccheri, grassi e sale più diventiamo meno sensibili alla ricompensa e dobbiamo incrementare l’intensità dei sapori, mentre ci accorgiamo sempre meno delle ripercussioni sulla salute. La privazione di questi alimenti produce veri e propri sintomi di astinenza; le diete ricche di zucchero possono causare nel cervello alterazioni osservabili attraverso le immagini, proprio come altre dipendenze.

Gli stessi meccanismi che riguardano l’assunzione di cibo spazzatura si ritrovano, spiega lo scienziato, anche nel consumo compulsivo di sesso, che produce una sorta di pornodipendenza o coazione, un’incapacità insomma di ridurre il consumo di materiale pornografico. Lo stesso meccanismo è in atto nelle sale da gioco, dove l’utente si riduce a una sorta di zombie, ripetendo un gesto all’infinito. E così sui social network, pensati per massimizzare la presenza di fronte allo schermo attraverso il meccanismo dei “like”. È il cosiddetto “effetto buffet”.

Brendborg accusa con forza anche la cannabis, colpevole anch’essa di attivare alcuni meccanismi di ricompensa e quindi indurre una grave dipendenza. Lo stesso, ovviamente, vale per l’eroina e ogni tipo di oppioide, spesso spacciati come farmaci contro il dolore (come nel caso delle pillole Purdue Pharma), e ovviamente per il fentanyl. Disintossicarsi dagli oppiodi, purtroppo, “è difficilissimo, la dipendenza è quasi irreversibile e i sintomi dell’astinenza sono drammatici”.

Dopamina e meccanismi di apprendimento

Tutte queste sostanze, spiega il libro, sono legate al “wanting”, più che al “liking”, cioè al bisogno compulsivo, associato alla dopamina. Maggiori sono i livelli di dopamina, minori sono le inibizioni. Il sistema della dopamina è un meccanismo di apprendimento: quando una sensazione risulta più gradevole del previsto, il cervello si autocondiziona a ripetere il relativo comportamento, in modo tale da procurarsi di nuovo quell’esperienza appagante.

Ma allora cosa si può fare? Chi lotta contro le dipendenze deve affrontare di petto le associazioni che si sono venute a creare (“trigger”) in relazione all’abuso di una certa sostanza (vedere un ago, andare a serate con alcol e musica che preludono all’assunzione di droga, bere se dopo si prende una sigaretta).

Oltre a scansare i “trigger”, per lottare contro le dipendenze si può tentare di rieducare il cervello smantellando l’associazione predittiva tra l’insorgere di certi elementi e la promessa di una ricompensa. “È molto più difficile, e non sappiamo ancora di preciso come fare, ma esiste un metodo che alcuni alcolisti hanno trovato efficace”, spiega lo scienziato, “tant’è vero che uno dei modelli terapeutici oggi in uso, il cosiddetto ‘metodo Sinclair’, che prescrive al soggetto di continuare a bere, ma sotto l’effetto del naltrexone, in modo tale da provare una costante delusione quando la ricompensa è al di sotto delle attese, in modo da far calare il livello di dopamina”.

In altre parole, si può disinnescare una corsa al rialzo agendo sulle basi stesse del meccanismo, eventualmente anche utilizzando la tecnologia a disposizione per rafforzare le difese (e non il contrario), così come attraverso l’uso di farmaci. Ma il primo passo, se vogliamo agire sulle nostre preferenze è capire che veniamo manipolati e come. Ovviamente, per disinnescare una cattiva abitudine non basta sapere come stanno davvero le cose. Certamente, però, è il punto d’inizio.

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