Esclusione della messa alla prova dei minori, così come previsto dal decreto Caivano, non si può applicare retroattivamente. È la Corte costituzionale, con la sentenza numero 8, a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale per i minorenni di Bari. Il procedimento vedeva imputato un ragazzino imputato per violenza sessuale con altri due – giudicati separatamente – su una adolescente under 14. Fatto commesso il 18 giugno 2019, quando l’imputato aveva 15 anni. All’udienza del 22 maggio 2022, l’imputato aveva ammesso, chiedendo la sospensione del processo con messa alla prova. La procura aveva dato parere e il Tribunale aveva quindi rinviato il processo a dicembre incaricando i competenti Servizi minorili dell’Amministrazione della giustizia (USSM) di verificare preliminare in ordine alla fattibilità della messa alla prova. Il decreto Caivano è diventato legge il 13 novembre 2023 e ha escluso, la messa alla prova per alcune tipologie di reato, tra cui la violenza sessuale di gruppo aggravata. Sia la difesa che che il pubblico ministero avevano quindi eccepito l’incostituzionalità.
L’ordinanza dei giudici di Bari – Nell’ordinanza di rinvio degli atti alla Consulta il Tribunale di Bari scriveva che la disciplina processo penale minorile “è in effetti basata sulle finalità del recupero del minore e della sua rapida fuoriuscita dal circuito penale, come più volte la Corte costituzionale ha affermato”, essendo “la messa alla prova uno strumento particolarmente qualificante, rispondendo, forse più di ogni altro, alle indicate finalità della giustizia minorile“. Prevedere una serie di reati per i quali si toglie all’imputato la possibilità “di accesso a questo importante istituto di recupero e reinserimento sociale, costituisce un vulnus non solo di tutela e protezione del minore autore del reato ma anche di tutela dell’intera collettività contro i rischi di una possibile recidiva“.
Per il magistrato “l’attuale normativa di riferimento impedisce al Collegio di valutare la presenza dei presupposti per la sospensione del procedimento e messa alla prova, con grave pregiudizio per le esigenze di recupero e di reinserimento sociale del minore, incensurato e senza altre pendenze, in violazione del secondo comma dell’art. 31 della Costituzione. È di tutta evidenza che la nuova formulazione dell’art. 28, decreto del Presidente della Repubblica n. 448/1988, introdotta dopo i gravi fatti di Caivano, fondamentalmente mossa da comprensibili esigenze di sicurezza e ordine pubblico, impedisce il necessario bilanciamento tra le predette esigenze di sicurezza e ordine pubblico e quelle di ‘protezione dell’infanzia e della gioventù’, privilegiando automaticamente le prime” per cui questa emergenza “non può giustificare la compressione di diritti fondamentali della persona, in questo caso di minore età, nell’ottica di una asserita generica ed indiscriminata tutela della salute e della incolumità pubblica“.
La decisione della Corte – La Corte costituzionale richiamando anche Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ricorsa come le legge italiana impedisca, per i reati considerati, che l’imputato minorenne possa essere sottratto al circuito penale, senza che abbiano rilievo le circostanze concrete della sua condotta e le effettive possibilità del suo reinserimento sociale. Tale previsione incide quindi direttamente sulla disciplina sostanziale, introducendovi un contenuto deteriore rispetto alla previgente, e pertanto, nel rispetto degli articoli 25, secondo comma, della Costituzione e 7 della CEDU, non può essere applicata ai fatti commessi anteriormente al 15 novembre 2023, data di entrata in vigore della nuova norma.