Il ministro Giorgetti è una figura abbastanza monotona e grigia. Ad ogni intervista o intervento pubblico ripete sempre lo stesso ritornello ormai da più di un anno. È come se uno strumento suonasse sempre la stessa nota. Il suo chiodo fisso è il buco di bilancio creato dal Governo Conte II in piena pandemia con l’approvazione del superbonus fiscale. Per il ministro quest’intervento fiscale sarebbe la causa principale del dissesto attuale della finanza pubblica. Giorgetti ha ragione oppure sta costruendo una fasulla retorica giustificatrice che poco ha a che fare con la realtà, una specie di Metaverso finanziario che i conservatori si inventano ogni giorno? Qui gli aspetti da considerare solo parecchi.

Il primo, e forse anche più interessante, è che il ministro ha una memoria veramente labile. Nel governo Draghi ricopriva la carica di ministro dello Sviluppo economico, e quindi non un ruolo secondario. Non risulta che allora si sia preoccupato del celebre buco, né poco né tanto. Forse perché a capo del governo c’era qualcuno con ben altra stoffa che comunque aveva già cominciato un percorso di rientro. Questa conversione tardiva alla finanza sana è sospetta, ingiusta verso il governo precedente, e anche un po’ indecente. Una qualche autocritica non guasterebbe.

Sulle dimensioni del buco, poi, sappiamo molte cose che il ministro nasconde. Giorgetti sbandiera solo il valore dello sconto finale per i contribuenti ma si dimentica, a beneficio del suo pubblico, di raccontare l’altra parte della storia. Cioè si scorda delle entrate generate dal superbonus. Eppure, da commercialista, dovrebbe conoscere bene la partita doppia.

Se prendiamo, come abbiamo già fatto in passato, la relazione dell’Ordine dei Commercialisti, quindi non proprio di un ente critico nei confronti dei governi, si legge che ogni 100 euro di contributo diretto genera entrate per 43 euro. Cioè accanto alle spese dello Stato, bisognerebbe considerare anche le entrate, sempre ignorate da ministro. Anche l’Ance è sulla stessa linea e quindi possiamo considerarlo un risultato acquisito. In sostanza il famoso buco dichiarato andrebbe dimezzato.

Ad onore del vero la tegola a Giorgetti è derivata dal fatto che l’Unione europea ha previsto una diversa contabilità, anticipando al presente l’intero onere del debito. Ma questo, se oggi è un peso, libera spazio fiscale per il futuro. Senza considerare, e cioè al netto delle entrate fiscali, che si stanno già manifestando gli effetti economici del risparmio energetico che non sono indifferenti, anche perché si protrarranno nel tempo. Il risparmio medio di chi ha ristrutturato si aggira sui 1.000 euro l’anno. Benefici privati, si intende, ma esattamente come quelli dei vari condoni o riduzioni fiscali che vanno però nel senso virtuoso della trasformazione ecologica della nostra economia.

Sul tema generale del buco, poi, il ministro non è del tutto onesto con i cittadini. Mentre denuncia ad ogni piè sospinto quello del governo Conte II sta lavorando a produrne uno suo, ben più pericoloso per le casse pubbliche. La riduzione degli oneri sociali per i lavoratori dipendenti, che così si trovano qualche decina di euro in più in busta paga al mese, costa ogni anno allo stato un deficit aggiuntivo di quasi dieci miliardi in chiaro, e altrettanti in nero. Il chiaro è rappresentato dalla richiesta del governo di nuovo debito, ad esempio per il 2024 di 15 miliardi. Il nero, o debito occulto, deriva dal fatto che i lavoratori comunque matureranno i diritti pensionistici in futuro senza però che l’Inps abbia incassato le risorse necessarie. Una sorta di truffa fiscale ai danni della previdenza futura senza precedenti, come le pensioni baby di un tempo. Un vero buco nero nella finanza pubblica.

A cosa serve allora la retorica del buco, utilizzata anche da altri ministri? Valditara, per esempio, ha scritto che non ci sono soldi per aumentare lo stipendio del personale scolastico a causa del buco da superbonus. Un jolly giocato da tutti i ministri, insomma. Direi che la retorica del buco serve per mettere le mani avanti sulle tremende difficoltà della finanza pubblica per l’anno prossimo. Già il prossimo Def di aprile sarà molto impegnativo e non consentirà di liberare risorse, come è stato furbescamente l’anno scorso.

La riforma del patto di stabilità, se non è stata punitiva per l’Italia, tuttavia ha ridotto gli spazi per l’allegra, si fa per dire, finanza demagogica del governo Meloni sempre a caccia di voti. Scaricare tutta la responsabilità sui precedenti governi, anche quando si era al governo, è la strategia bugiarda di chi non ha idee, oppure si è legato le mani con promesse demagogiche e irrealizzabili. Il buco da superbonus da questo punto di vista è il motivo perfetto, anche se è una totale e perfetta fake news.

Nella favola di Esopo, a forza di gridare al lupo al lupo, poi il lupo arriva e fa un buon pasto. A forza di gridare al buco, al buco è probabile che accada qualcosa di simile anche nella finanza pubblica targata Meloni, con un disavanzo sempre crescente. A forza di condannare il vecchio buco, il ministro distoglie l’attenzione dal vero buco che sta creando in maniera irresponsabile e populista. La voragine futura nei conti pubblici comunque è già certificata. Nel 2026 secondo i documenti ministeriali il debito pubblico raggiungerà l’astronomica cifra di 3.000 miliardi.

Un altro record della compagnia del buco del governo Meloni, questa volta sì pericolosamente vero e dalle conseguenze imprevedibili, per la società prima che per l’economia.

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