di Simonetta Lucchi

David Parenzo, invitato alla Sapienza, per un convegno organizzato dal movimento studentesco Azione universitaria viene contestato da gruppi di giovani “di estrema sinistra”, al grido di “Vattene fascista”. E, nel ricordo, riemergono cortei degli anni fine Settanta del secolo scorso. Oppure di metà anni Ottanta in atenei tedeschi, in cui maturi signori venivano apostrofati come “nazisti”. Per cui, colpisce, il ritorno in peggio a epoche che sembravano passate per sempre.

Parenzo – e già solo il cognome suo e della consorte, la giornalista Nathania Zevi, evocano esili e persecuzioni – a cui viene dato del “razzista sionista”, per quale motivo? L’accusa è quella di utilizzare la questione femminile strumentalizzandola per difendere e giustificare il genocidio in Palestina, come avrebbe fatto con l’Afghanistan e con l’Iraq. “Non ha spazio né l’agibilità politica per parlare qui”, sostiene con veemenza una ragazza. “Non ha spazio e agibilità politica”: cosa significa realmente? “Lei evidentemente non è preparata”, ribatte Parenzo, che aggiunge: “Guardate che a Gaza non ci sono i movimenti a favore delle donne… E i gay vengono messi in carcere, nella migliore delle ipotesi. Venite qui, salite sul palco, confrontiamoci. Io sono sempre per il dialogo”. E anche il “non è preparata…” da chi, e su cosa.

Io sono sempre per il dialogo: le parole sono appese e lasciate cadere troppo spesso negli ultimi tempi. Tempi che tuttavia i giovani stanno vivendo e da cui hanno appreso. Pillole, malamente sparse: semi, che non hanno dato frutti. E qui, occorre chiedersi che cos’hanno imparato questi ragazzi nei mesi chiusi in casa durante la pandemia dai social o dalla televisione più che assistere a uno spettacolo indecoroso di adulti che si accapigliavano a vicenda. E ad oggi, diamo spazio nell’ambito della cultura e dell’istruzione più ai grandi affabulatori, o a chi il dialogo, la conoscenza, la può trasmettere sulla base di fatti, documenti, dati oggettivi? E così, assistiamo.

E non si vorrebbe qui discutere di Israele, Palestina, e nemmeno delle donne – per quanto, temi importantissimi. Ma soprattutto di tolleranza e di rispetto delle opinioni altrui. Dei ponti che avremmo dovuto costruire, ma che evidentemente non resistono a un fiume in piena. A scuole e università, che non dovrebbero essere teatri o palchi, ma luoghi dedicati al sapere, alla riflessione, in cui persone in grado di trasmettere conoscenza, e in ciò esperti professionisti, invitano al confronto ed alla discussione.

“Siamo bloccati dentro un’aula e non possiamo uscire. Viva la democrazia” ha detto il giornalista mentre all’esterno continuavano i cori: “Fuori i fascisti dall’università. Palestina libera”. L’evento “Ricambio generazionale pronti, partenza, via” non è partito decisamente con il piede giusto. Rimane il punto interrogativo che storici mediatici e filosofi tuttologi forse non vedono: ma “non vedere il problema” non è esattamente un merito. Lo sa piuttosto chi sta in un’aula, e non bloccato, ma per scelta. Che senza ponti, con dipinti imbrattati nei musei, sculture vandalizzate e scritte vaneggianti sui muri, senza un confronto e nemmeno ricambio generazionale, siamo tutti alla deriva, in mezzo a un mare in tempesta.

Il problema c’è e non è questione di cattivi maestri. Ma chi sono?

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