La pista nera
Nel marzo del 1972, dal Veneto arrivano alla procura di Milano gli atti sul secondo “filone” d’inchiesta che rappresentano la “pista nera”, di matrice neofascista. Viene contestato il reato di strage ai leader della cellula veneta di Ordine Nuovo Franco Freda e a Giovanni Ventura contro i quali, il 28 agosto 1972, viene emesso un mandato di cattura. Per gravi motivi di ordine pubblico, il processo viene spostato a Catanzaro, sia quello a carico di Pietro Valpreda ed altri con istruttoria “romana”, che l’altro contro di Franco Freda ed altri con istruttoria “milanese”. Da qui parte una serie di rimpalli tra organi giudiziari di diverse città e di vari gradi che portano a una cinquantina di indagati poi imputati, tutti confluiti nei giudizi di Catanzaro. Di loro, trentaquattro, in qualità di imputati, arrivano al processo davanti alla Corte d’assise “Valpreda + trentatré”. Per effetto della sentenza di primo grado, i condannati si ridurranno a venticinque; la Corte di Cassazione, attraverso la pronuncia del 1982, ne rinvierà solo sette, ossia Valpreda, Merlino, Freda, Ventura, Gaetano Tanzilli, e i due ufficiali dei Servizi Gianadelio Maletti e Antonio Labruna. La Corte d’Assise d’appello di Bari, condannerà esclusivamente, e paradossalmente si può ben dire, questi ultimi due: tutta questa odissea giudiziaria partorirà soltanto un reato formale, quello di falso ideologico, imputato ai due ufficiali.