Si va verso un nuovo processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio. La procura di Caltanissetta, infatti, ha notificato un avviso di conclusione delle indagini per falsa testimonanza a quattro poliziotti. A raccontarlo è l’edizione palermitana di Repubblica. Gli indagati sono Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi e Angelo Tedesco. Le indagini sono scaturite dal processo di primo grado sul depistaggio: secondo l’accusa i quattro poliziotti hanno reso false dichiarazioni deponendo come testimoni.

Zerilli e i 121 non ricordo – “La cifra del narrato dibattimentale è rappresentata dai 121 ‘non ricordo’ pronunciati dal testimone nel corso dell’udienza che ha occupato la sua escussione”, scrive il collegio presieduto da Francesco D’Arrigo riferendosi a Zerilli. Più di 100 i “non ricordo” di Tedesco, 110 quelli di Di Ganci, mentre per Maniscaldi il tribunale di Caltanissetta ha scritto: “Non si è trincerato dietro ai non ricordo, ma si è spinto a riferire circostanze false”. Per questo motivo il giudice ha trasmesso i verbali delle dichiarazioni dei poliziotti alla procura guidata da Salvatore De Luca, che ora ha notificato la chiusura delle indagini, atto che di solito prelude alla richiesta di rinvio a giudizio.

La relazione dimenticata – Durante l’ultima udienza in corte d’Appello sul depistaggio la procura generale di Caltanissetta ha presentato un nuovo documento inedito. Si tratta di una relazione di servizio redatta da Zerilli, in cui sono descritti alcuni sopralluoghi fatti dal poliziotto insieme a Vincenzo Scarantino, il falso pentito sul quale fu imbastito il primo processo sulla strage che uccise Paolo Borsellino e la sua scorta il 19 luglio del 1992. La relazione che è stata trovata addirittura con 29 anni di ritardo e solo per caso: il ritrovamento risale al 5 ottobre scorso, durante il trasloco di uffici della Mobile di Palermo. Proprio durante il trasferimento dei faldoni un agente ha, infatti, notato un fascicolo sul quale era scritto “gruppo Falcone-Borsellino”, ovvero il nome della squadra guidata da Arnaldo La Barbera, creata appositamente per indagare sulle stragi.

Scarantino e il parcheggio della 126 – Il documento riporta la data del primo luglio del 1994, Zerilli è in quel momento ispettore della Squadra Mobile di Palermo, aggregato al “gruppo investigativo Falcone-Borsellino” e compila una relazione di servizio in cui ripercorre i sopralluoghi fatti con altri colleghi e con Scarantino il 28, 29 e 30 giugno dello stesso anno. “Unitamente ad altro personale di questo Gruppo – si legge – ha effettuato dei sopralluoghi con Scarantino Vincenzo, mirati alla individuazione di alcuni obiettivi”. Il primo obiettivo è nei pressi della carrozzeria di Giuseppe Orofino, l’uomo che secondo il falso pentito avrebbe custodito la Fiat 126 rubata, fornendo anche una targa pulita per quella che diventerà l’autobomba usata in via d’Amelio. “Lo Scarantino ha indicato il punto dove ha posteggiato l’auto in via Messina Marine, di fronte al civico 229/231, sul marciapiede lato mare, a circa 200 mt dalla carrozzeria di Giuseppe Orofino”.

“La polizia sapeva che Scarantino mentiva” – All’annotazione di Zerilli, però, non è allegato un verbale con le dichiarazioni di Scarantino durante il sopralluogo. Un punto cruciale, che infatti è stato uno dei passaggi dell’arringa dei difensori di parte civile durante il processo di primo grado sul depistaggio: “L’assenza del verbale durante il sopralluogo alla carrozzeria Orofino ci dà l’idea che Scarantino non sapeva nulla di dove fosse l’autocarrozzeria”, aveva detto Giuseppe Scozzola, avvocato del carrozziere. Adesso spunta fuori l’annotazione di servizio che riporta il momento in cui Scarantino avrebbe parlato dei luoghi in cui era stata custodita la piccola utilitaria usata per uccidere Borsellino. “Questa è la prova provata che il Gruppo Falcone-Borsellino sapeva che Scarantino stava mentendo”, dice Scozzola. Gli investigatori avevano riportato varie versioni di come il falso pentito avesse indicato la carrozzeria di Orofino. Nella relazione, però, è scritto soltanto che Scarantino ha indicato il luogo dove aveva posteggiato l’auto, cioè in un punto che Zerilli sottolinea essere a 200 metri dalla officina di Orofino.

Il carrozziere Orofino – Del resto le attenzioni degli investigatori per il carrozziere risalivano ad almeno due anni prima. La mattina del 20 luglio del 1992, dodici ore dopo la strage, Orofino era andato a denunciare il furto di alcune targhe di una Fiat 126, che custodiva all’interno della sua officina e che avrebbe dovuto riverniciare. I poliziotti si erano insospettiti subito: due ore dopo erano arrivati a perquisire quella carrozzeria. Eppure gli investigatori scopriranno che l’autobomba esplosa in via d’Amelio era effettivamente una 126 soltanto nel pomeriggio del 20 luglio, mentre ci vorranno ancora altri quattro giorni per capire che effettivamente la Fiat esplosa montava delle targhe rubate. Senza considerare che le presunte accuse di Scarantino arrivano solo nel giugno del ’94: come mai dunque gli investigatori s’interessano a Orofino praticamente subito dopo l’esplosione? All’epoca dei fatti il carrozziere era incensurato: per colpa delle false dichiarazioni di Scarantino sarà condannato per la strage di via d’Amelio. Verrà assolto nel processo di revisione solo nel 2017, dopo la collaborazione di Gaspare Spatuzza, il pentito che ha svelato l’esistenza del depistaggio.

Gli altri sopralluoghi – Nella relazione di Zerilli vengono annotati anche altri sopralluoghi: “Per quanto concerne Piazza Leoni ha precisato di non essersi fermato, ma soltanto che ivi giunto gli era stato fatto cenno che era tutto a posto e che poteva allontanarsi”, scrive Zerilli nel 1994. “Ha indicato ancora l’officina del fratello di Romano Giuseppe”, che fu assolto nel Borsellino bis. Indica ancora un casolare a Borgo Molara dove venivano “nascosti armi e droga” e in via Santicelli dove si svolgevano degli “incontri tra il Greco Carlo ed altri personaggi di rilievo”. Mentre in “via Paternò all’interno del cantiere per lavori di ristrutturazione sito nei pressi del fiume Oreto, indica a circa 30 metri, non visibile comunque dalla strada dal momento del sopralluogo, un magazzino dove veniva scaricato l’acido per i cadaveri”. Sopralluoghi in “obiettivi indicati” per Pietro Aglieri, il boss di Santa Maria di Gesù, e per il suo vice Carlo Greco. Ma anche per Lorenzo Tinnirello, boss della famiglia di Corso dei Mille, condannato poi all’ergastolo per la strage di Capaci.

Il processo – L’annotazione di Zerilli è stata depositata dal procuratore generale di Caltanissetta Fabio D’Anna, i sostituti Gaetano Bono e Antonino Patti, e il pm applicato dalla Procura Maurizio Bonaccorso, durante la prima udienza d’Appello sul depistaggio. Sotto accusa ci sono Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, tre poliziotti che indagarono sulla strage agli ordini di La Barbera, accusati di concorso in calunnia, aggravata dall’avere agevolato Cosa Nostra, per avere cioè indotto Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta a dichiarare il falso sulla strage. In primo grado la caduta dell’aggravante mafiosa ha fatto scattare la prescrizione per i primi due mentre il terzo è stato assolto perché il fatto non costituisce reato.

Articolo Precedente

‘Ndrangheta a Milano, il boss Bandiera condannato a 10 anni e 10 mesi al processo per la ricostituzione della “locale” di Rho

next
Articolo Successivo

“Sicilia, a Roccella Valdemone c’è un bene confiscato alla mafia ogni due abitanti”: lo studio del sindacato

next